Son qui che rimugino sul perché, nonostante il mio enorme impegno, ogni volta che tiro fuori i calzini dalla lavatrice essi sono spaiati. Come se la lavatrice nascondesse, per poi non rubare, e far saltare fuori un calzino in più o qualcuno in meno ad ogni lavaggio.
Mentre rimugino sulla cosa dei calzini mi salta fuori una memoria. Avevo tredici anni, quasi quattordici e una infermiera cercava disperatamente di appaiarmi dei calzini.
Stavo in un ospedale. Ero una lunga degenza. Ero una degenza di quattro mesi. Era giugno del 1991, qualcuno di voi già trombava, io ero piccolina, ero così piccolina che mi misuravano il peso in ettogrammi.
Che quell'infermiera intrigata coi calzini è legata a quella degenza lo ho capito dopo un piccolo lavoro di scavo e nello scavo inevitabilmente mi è venuta su una memoria di me che ero così piccola che mi misuravano il peso in grammi. Era l'anno 1984, nel 1984 pochissimi di voi già trombavano.
Inutile negare le evidenze e inutile resistere, sto andando lunga, ormai sono partita dai caparossoei e se pensate di continuare a leggere e dovete fare la pipì vi conviene andarci adesso.
Nel 1984 ero in montagna, ero tutta contenta perché stavo li con lo zio cattivo, io dello zio cattivo ero innamorata persa. Lo zio cattivo si chiamava, non a caso, Marino e chi mi conosce un pochetto meglio sa che Marino è anche il nome del mio amico immaginario, quello che mi corregge le bozze dei post, e si, anche in questo esatto momento.
Ero in montagna con i miei e con i nonni materni e con un sacco di altri parenti ma me ne sbattevo le palle di tutti gli altri perché ero in montagna con lo zio cattivo. Lo zio cattivo era cattivo perché mi prendeva per le caviglie e mi teneva a testa in giù per ore (ok meno di un minuto ma a me pareva fossero ore), mi prendeva per le braccia e mi faceva girare insieme a lui velocissimamente, mi tirava su e mi lanciava in aria. Mi piaceva tantissimo ma ero così fighetta che non sono mai riuscita a dirglielo, urlavo come un ossesso e basta, nel mio cuore credo che lui lo sappia che mi piaceva tanto stargli vicino.
Un giorno in montagna mi è salita la febbre altissima, era così alta che lo zio cattivo mi ha tenuta distante, venivano solo le donne della famiglia nella mia cameretta, venivano li, mi raccontavano le favole, mi mettevano stracci sopra alla fronte, mi imboccavano di the caldo e ho sentito la nonna che parlava di sanguisughe o forse mi confondo con qualcosa d'altro, resta che stavo malissimo. Mi hanno portata al pronto soccorso e mi hanno ricoverata. Sono stata dentro all'ospedale per dieci giorni quella volta ed è stato il mio primo caso di m_d_f. Avevo una infezione all'apparato urogenitale.
Il ricordo più vivo che ho della degenza è un'infermiera, lei era giovane ed era bella ed era buona con me, una volta però mi ha portata al bagno e voleva che facessi pipì dentro a un contenitore. A parte i maschietti, voi femminucce…avete mai avuto il m_d_f? Una acutissima cistite? La sensazione di pisciare lamette? Ho tanto pianto. Ho ottenuto più lacrime che pipì quella volta e loro dovevano controllare se avevo sassetti sui reni non sassetti sugli occhi.
Da piccolina, a prescindere dallo zio cattivo, avevo iniziato a guardare il mondo a testa in giù, mi piaceva tantissimo camminare con le mani. Quando non passeggiavo con le mani stavo ore appoggiata ai muri con i piedi per aria, dovevate vedere quanto diventavo rossa in faccia. Dovevate sentire quanto mi rompevano i coglioni tutti… maschiaccio, ti va il sangue in testa, ti spacchi un braccio, ti spacchi la testa, ti viene la meningite (ecco questa della meningite non la ho mai capita ma me la diceva la stessa nonna delle sanguisughe allora penso ci stia di non capire).
Un giorno ho dovuto smettere di passare il tempo a testa in giù perché mi faceva male un braccio, ma male forte eh, mi faceva così male da inibirmi dallo stare a testa in giù e anche se avevo provato a stare in verticale con un braccio solo era una cosa troppo difficile e che avrei dovuto imparare a fare prima di avere male perché comunque lui mi serviva anche solo per imparare li in appoggio.
A proposito, in questi mesi, dopo aver saputo che una mia amica è stata operata al tunnel carpale, ho iniziato a usare il mouse con la sinistra, ho imparato e son contenta, mi venisse quella cosa al carpale destro sarei egualmente in grado di usare il mouse.
La diagnosi dei miei genitori (lui un pasticcere e lei una casalinga con precedenti da parrucchiera) per il dolore al braccio è che sono ipertestaingiù, a smettere di far verticali mi dovrebbe passare il dolore.
Dopo un pochetto che non facevo più le verticali avevo lo stesso male al braccio, mi hanno portata dal mio medico di base (quello che ho a tutt'oggi) e lui è un brav'uomo ed è un ottimista e i suoi pazienti non hanno mai nulla di grave, soprattutto è un ottimista che per dire mio fratello scorso anno è stato malissimo un giorno e ha preso paura ed è andato da questo medico
mio fratello: e insomma avevo sudori freddi e un forte dolore al fegato e faticavo a respirare e poi sono svenuto
medico: ah ma non è niente tromba e starai meglio.
Mio fratello: …
medico: anzi non trombare che magari è una cosa dovuta all'affaticamento, fai così, fatti trombare e starai meglio.
Il medico ottimista quella volta mi fa mettere una fascia al braccio, una fascia immobilizzante. Una fascia elastica che ho indossato per un po'. Mi ricordo che un giorno che ho levato la fascia ho pensato che la fascia non aveva immobilizzato un gran cazzo perché avevo il braccio storto, il mio avanbraccio era storto, era così storto che era più piccolo dell'altro. Non so come dirlo meglio di così ma immaginate un bastone da passeggio, bello diritto, il bastone da passeggio bello diritto è il mio braccio destro, ora immaginate un bastone da passeggio con un nodo naturale del legno nel suo finale, quello è il mio braccio sinistro.
Qualcuno chiama questa cosa al mio braccio “disarmonia”, qualcuno la vede come un intervento chirurgico fico, qualcuno morbo di madelung.
Il chirurgo che mi ha seguita lo abbiamo cercato per un anno prima di trovarlo, era vecchio, so che è ancora vivo, credo sia intorno agli ottanta, nonostante fosse vecchio io mi sono innamorata di lui. Sapere che mi aveva presa in cura era rassicurante, sentivo un sacco di amore. Avevo il batticuore bello ogni volta che lo vedevo.
Un giorno, in una visita mi ha detto che avrebbe voluto aspettare il primo sviluppo del mio corpo prima di operarmi, tette, peli, ciclo mestruale, brufoli, robe così. E' questo il motivo per cui io sapevo che sarei andata in ospedale un bel po' prima di andare in ospedale. Per fortuna poi ha aspettato solo il ciclo mestruale perché se stava ad aspettare veramente anche le tette sarei ancora da operare.
Mi hanno preparata bene a quell'intervento, mi hanno preparata benissimo, il piano era questo:
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Verrai ricoverata quando la scuola va in pausa estiva.
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La degenza sarà lunga ma da quando sarai in forma in poi potrai andare a casa nei week end.
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Ti infiliamo un apparecchio in lega leggera sulle ossa dell'avanbraccio che così si raddrizza.
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L'intervento sarà lungo.
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Ti preleviamo del sangue tuo da restituirti con calma più avanti.
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L'apparecchio in lega ce lo devi ritornare che costa milioni.
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Si si te lo rimuoviamo noi.
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Dai vai a farti vedere dall'anestesista che poi dopodomani si opera.
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Si ti dobbiamo depilare il braccio anche se son solo tre peli.
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Adesso ti mettiamo una mascherina, tu conta da dieci a zero e ci vediamo dopo.
Dieci nove otto sette
occhi azzurrissimi del mio chirurgo
il nulla
Hanno impiegato sette ore e mezzo ad operarmi e io non ho nessun ricordo di quelle ore.
Mejo.
Sono nella cameretta e vedo la mamma, mi parla ma non capisco, sento male e ho sete.
Era il mio primo intervento chirurgico e mi ero immaginata che all'uscita sarei stata bene, stavo di merda invece.
Un momento che ricorderò tutta la vita è di quando la mamma, che pensava di rassicurarmi, pensava di aiutarmi, ha tirato su il lenzuolo che avevano messo per coprirmi il braccio. Mi ha detto “guarda.” e io ho visto la bestia.
L'apparecchio in lega leggera lo si può spiegare in mille modi, nessuno dei modi è in grado di chiarire l'idea, neppure il mio però vado lo stesso di spiega.
Avete presente quando la gioca (produttore di pattini a rotelle) ha lanciato nel mercato quei pattini che li si poteva allungare tramite una prolunga che stava sotto al piede? Il mio apparecchio in lega leggera era una cosa così, in quel momento in particolare la prolunga era chiusa. Lo avevano attaccato tramite viti al braccio, quattro viti, due infilate nelle ossa del polso e due infilate nelle ossa dell'avanbraccio. Si fa schifo ma soprattutto, nel momento subito dopo l'intervento, faceva male, faceva schifo e faceva male e avevo tutto il pigiama e il lenzuolo pieno di sangue, schifo male sangue = lacrime. Per la fanciulla che ero e per la donna che sono sarebbe bastato il sangue, il sangue anche di altri, a far uscire le lacrime.
L'apparecchio aveva una rotellina con su scritti i millimetri, una volta ristabilita, dopo l'intervento, avrei dovuto girare la rotellina di un millimetro al giorno in modo da arrivare ai due centimetri di braccio che, non per contenuto ma per disposizione, mi mancavano.
Il chirurgo di cui ero innamorata mi veniva a trovare tutti i giorni più volte al giorno. Parlavamo di un sacco di cose, tutte che non avevano nulla a che fare col mio braccio. Mi ero anche quasi pensata che da grande avrei voluto essere un chirurgo come lui.
Poi comunque deve essere successo qualcosa e infatti mi occupo di fine food.
Ero nell'ospedale da quasi un mese e ho iniziato a fare riabilitazione. Mi seguiva una donna, si chiama Maurizia, lei aveva iniziato a seguirmi da prima solo che doveva venire lei su in camera perché io ero deboluccia e non si fidavano a lasciarmi in giro per l'ospedale a camminare col coso sul braccio, avevano paura che mi facessi male. Lei veniva su dicevo e mi muoveva la mano ma pianissimo.
Poi ho iniziato io ad andare a vedere la Maurizia dentro alla sua palestra e c'erano un sacco di persone che facevano le cose con la palla medica. Lei era stupenda, mi faceva sempre ridere ed era bravissima, sapeva come prendermi. Alla mattina mi svegliavo ed ero già che pensavo alla Maurizia.
Un giorno lei non c'era nella palestra, ho trovato uno, un uomo, un maschio, un terapista. Quasi non mi ha parlato se non per dirmi che la Maurizia non mi avrebbe più seguita e che avremmo fatto io e lui insieme. Non so neppure come si chiama, me lo ha anche detto ma avevo chiuso il cervello talmente tanto che non lo ricordo.
Poi si è messo i guanti e ha iniziato a farmi le cose che mi faceva la Maurizia, però non era come lei, anche se mi muoveva la mano uguale non era lei.
Un po' più pesante o un po' più leggero, non era lei.
Una volta ritornata in camera mi sentivo la sua puzza addosso, non era il profumo della Maurizia era la sua puzza e la sua puzza era puzza di guanti in lattice. L'apparecchio esterno in lega non poteva bagnarsi, uno perché costava milioni e due perché se si bagnava lui mi si bagnava il braccio e io in quel braccio avevo quattro ferite pronte a far vermi. Non potevo mai lavarmi bene quanto volevo. Potevo lavarmi solo le dita della mano e solo da sopra il gomito. La puzza di lattice mi rovinava tutti i momenti. Quando il terapista mi veniva a prendere in camera, perché io non sono mai più voluta scendere in autonomia, scoppiavo a piangere. Di sera facevo pensieri su di lui, speravo svanisse nel nulla durante la notte, di giorno quando lo incrociavo nei corridoi lo sfidavo apertamente, gli facevo vedere che facevo i compiti e lo interrogavo su cose che speravo non sapesse, invece poi le sapeva tutte.
Continuavano a saltarmi i permessi week end, non mi lasciavano andare a casa perché avevo sviluppato una depressione e svenivo di continuo.
Un giorno che mi pareva di sentirmi bene e che speravo di andare a casa nel week end mi hanno scoperto un principio di infezione durante una medicazione.
Mi davano delle bibitone a base di cioccolato perché non volevo neppure più mangiare.
Non ho mai detto a nessuno che non mi piaceva stare con quel fisioterapista senza nome, lo sapevo solo io. Mi raccontavo quel segreto in loop, ingigantivo il dolore ogni volta che ripercorrevo i ricordi del tempo con lui, mi annusavo il braccio per sentire la sua puzza. Pensavo usasse i guanti perché gli faceva schifo toccarmi, gli faceva schifo toccarmi perché avevo un apparecchio al braccio (si chiama wagner), gli faceva schifo il wagner perché quel wagner faceva schifo a me.
Non volevo andare veramente in permesso a casa, non ho mai voluto andare veramente a casa, perché i ragazzini son cattivi e io ero nella fase in cui aspettavo le tette e i ragazzini, le due volte che sono andata a casa, mi hanno chiamata robocop. Hanno continuato a chiamarmi robocop per anni dopo, qualcuno ancora mi ricorda così. Ho un blog che si titola capitan uncino, io stessa, ogni tanto, ancora mi ricordo così.
Mi ricordo con una disarmonia al braccio, mi ricordo la depressione, mi ricordo la rabbia verso quel fisioterapista giovane che era peter pan, e capitan uncino peter pan lo odia anche se poi non ne può davvero fare a meno.
Oggi so che è stato più facile disprezzare un uomo che usava i guanti perché aveva più di un paziente, è stato più facile farsi venire una depressione, è stato più facile svenire = scappare, è stato più facile farsi uscire una infezione, è stato più facile sviluppare un'allergia al lattice, sono state più facile un sacco di altre cose tutte dettate da pensieri negativi piuttosto che ammettere una volta, una sola, la verità. La verità è che mi faceva schifo avere il wagner e che visto che faceva schifo a me, non indossandolo con disinvoltura, procuravo disagi anche agli altri.
Mi difendevo come meglio potevo. Facevo questo.
Non ho mai lavorato su questi ricordi prima di ora, di questi giorni. In passato mi limitavo a dire che avevo rotto un braccio o che avevo un morbo e basta.
Poi deve essere successo qualcosa perché ora son qui.
Una volta mio padre è stato molto male. Molto male. Nulla era in mio possesso se non stare li, potevo solo stare li con lui. Un giorno mentre stavo li sono passata per la libreria dell'ospedale, ero andata a far turismo che non avevo abbastanza testa per leggere. Nella libreria vendevano oggettistica e ho visto una deliziosa coccinella con calamita. L'ho comprata, sono corsa su sino al quinto piano a piedi per attaccarla subito al suo letto. Dovevate vedere che contento che è stato mio papa di quella coccinella. Una volta che doveva farsi la tac ha fatto tenere la coccinella in mano all'infermiera per tutto il tempo.
Poi mio padre è stato trasferito in un altro ospedale e io sono andata a trovarlo e cercavo dove fosse la coccinella perché ero sicura che fosse stata portata via con mio papà. Mio papà mi spiega con parole sue che il suo fisioterapista gli ha fatto togliere la coccinella dal letto perché secondo lui era una cosa pericolosa, che di notte la avrebbe potuta ingoiare.
Ero ferita.
La coccinella era dentro al cassetto dell'armadietto e io ero ferita.
Se mi avesse sputato in faccia invece che far rimuovere la coccinella l'avrei presa meglio.
Ho iniziato subito una sorta di lavoro di distruzione per via di quella coccinella, nei confronti di una persona che non conosco e che però, fatalità, fa il fisioterapista come quell'altro. Per non averlo mai visto me lo immaginavo, me lo immaginavo fatto esattamente come il mio che non ricordo il nome ma se mi concentro abbastanza lo vedo. Ho evitato di vederlo proprio per non confrontarmi con questa cosa.
Realizzo solo ora che avrei potuto vederlo molto prima di quando l'ho visto.
Quando poi l'ho visto ho finto di dimenticarmi della coccinella, così come quando andavo in ospedale fingevo di dimenticarmi che mi trovavo di nuovo in ospedale.
Va tutto bene, è tutto bello, il pensiero è positivo. Ho ignorato un primo allarme.
Solo che non si può mentire sempre, soprattutto non si può mentire a se stessi, le cose saltano fuori in forme e dolori e colori e odori, bisogna solo stare attenti a riconoscerle.
L'altro giorno mentre subivo cranio sacrale mi sono incazzata.
Da sola.
La cosa tutta interessante è che non lo ho capito subito e a un certo punto volevo chiedere a chi operava la terapia se per caso era incazzato, invece come al mio solito sono stata zitta, ho impiegato di più per arrivarci e poi comunque lo stesso non da sola. Mi sono annusata e sentivo odore di lattice. Poi non ero più solo io a puzzare, c'era odore di lattice ovunque. C'era odore di lattice come a un raduno di bdsm.
Realizzo che era il lattice del fisioterapista quell'altro. Un secondo allarme.
Allora niente, stamattina ho fatto un po' di introspezione sull'argomento, mi son levata il wagner dalle palle e poi sono andata in camera, ho tirato fuori tutti i calzini che erano spaiati e li ho accoppiati con quelli che mi sono appena usciti dalla lavatrice. Li ho fatti accoppiare tutti tutti e li ho fatti accoppiare senza preservativo che poi il lattice si sa mai che non lo prendano come un affronto e gli si rovina il karma.