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non sono scema, sono fatalista.

Quando un file di tre pagine (tre cartelle editoriali, actually) scritto con amore, passione, impegno ti si smichia in via definitiva a causa di un fatal error del computer, ci sono solo due reazioni. Sarebbero tre, la prima consta nel verificare se il file è recuperabile una volta che il computer torna in vita ma ipotizziamo che il file non sia stato recuperato (non è un’ipotesi, non l’ho recuperato e basta).

La prima reazione è far due parole con Dio. (Quando fa così che va tutto male non c’è Dia, c’è Dio).

La seconda reazione possibile è essere fataliste. Ho deciso per il fatalismo.

Quando faccio così, quando non mi arrabbio, mi sento proprio una persona matura, un essere superiore… a cosa mi serve arrabbiarmi per un file perduto?  è andato, fine, morto, se hai voglia lo rifai.  Mi sento più grande.

Non è vero che se ho voglia lo rifò… lo devo rifare. Posso arrabbiarmi perché lo devo rifare?

No. Non posso arrabbiarmi perché se alzo la mano per partecipare alla partita poi non mi tiro indietro, non fingo il mal di pancia.

Ieri ho scritto su facebook che chi sa fa, chi non sa parla. Sono d’accordo e ce l’avevo con me. Ho parlato così tanto da essermi annoiata da sola. Ho parlato di giorno, ho parlato nel sonno, ho parlato da sola mentre andavo al supermercato. Sono logorroica e di sentire la mia voce non ne posso davvero più. Peraltro, nella mia testa, anche i miei pensieri hanno voce, ne sento il rumore e i miei pensieri hanno l’accento di MaRgheRa come me (ma continuo a risultare meno marcata di passa a enel eneRgia), insomma ho parlato tanto e dibattuto tanto che mi son data fastidio. Dopo tutto quel parlare e il  lagnarmi ho deciso di scrivere, che continua a essere il mio miglior metodo di comunicazione da quando avevo sette anni. Ti sei innamorata del bambino  che hanno messo in banco con te in seconda elementare e non puoi dirlo a nessuno perché hai paura che ti prendano in giro? scrivilo sul diario segreto. Ti sei dilungata qualche canzone di troppo con il ragazzo che hai conosciuto di domenica pomeriggio all’Area city a sedici anni? scrivilo sul diario segreto! E’ morta tua nonna e quattro mesi dopo è morto anche tuo nonno? ti fa così male che non riesci a parlarne? scrivilo sul diario segreto. Hai delle idee? decine di idee che sai benissimo che non riuscirai mai a trasmettere a voce perché non è il tuo mezzo di comunicazione più funzionale? scrivilo in tre pagine di word! le perderai comunque ma almeno ti sarai liberata la testa da un paio di chiodi.

Allora ho deciso di essere fatalista, di non arrabbiarmi, che comunque tutto quello che io riesco a mettere giù nero su bianco ha un potere terapeutico potentissimo per me e va bene così, son tre pagine, ho in corso salvataggi di duecento, potevano sminchiarsi quelli (se perdo la chiavetta però due parole a Dio le dico). Soprattutto, nel caso non si sia notato, la mia cartellina azzurra delle idee, quando ho smesso di parlare e ho iniziato a fare, si è magicamente aperta.

 

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almost

 

A Venezia è iniziato il vento, accadeva una settimana fa, ho un chiaro ricordo di me che infilo il giubbetto un po’ grosso e il collega/compagno di banco che mi chiede se vado in montagna e io che protesto: “hai poco da ridere,  fuori c’è un vento che porta via!” Una mezzoretta più tardi una mezza Venezia postava foto di grandine a Piazza San Marco e lì intorno. Comunque il vento si sta portando via l’alta stagione lavorativa. Io cerco di stare ancorata a terra e di respirare con il naso per compensare.

Tutte le volte che sono invisibile in questi luoghi (o altri) è perché sto facendo qualcos’altro, mi piacerebbe venire qui un giorno e dire: sono stata assente perché ero a grattarmi la pancia in spiaggia, invece non capita mai. Se non sono qui sto lavorando a qualcosa o mi è venuto in mente qualcosa a cui lavorare.

Ho un nuovo incarico di direttore artistico, per pescepirata.it (prego osservare logo di blutto alla destra del monitor), abbiamo lavorato alla creazione di un talent show dedicato alla scrittura sul forum. Siamo belli, siamo bravi, siamo tanti e soprattutto siamo entusiasti.

Ho scritto un articolo, per una rivista edita da un centro ricerche, il nome del direttore editoriale è così impegnativo che non lo dico però se vado alla presentazione giuro che prima prendo appuntamento dalla parrucchiera.

Ho quasi finito il nuovo romanzo, mi manca pochissimo ma è quel pochissimo del fastidio, quel pochissimo di quando stai per entrare in supermercato e non ti ricordi se hai chiuso l’auto (o se hai il portafogli, la sporta ecologica invece per forza di cose è rimasta a casa, neppure controllo) e devi cercare di resistere all’impulso di tornare indietro. Sto cercando di non tornare indietro, di andare avanti spedita e poi rivedere e revisionare con calma.

Ho quasi finito un romanzo breve.

Ho letto molto, poco contemporaneo, anzi… da un mese a questa parte ho letto un unico autore contemporaneo (moltiplicato per più romanzi) e ho ripreso dei testi che non avevo mai letto, tipo Irving che però ha solo viaggiato molto in pulmetto con me, il povero Irving è stato abbandonato una decina di volte in favore di altri… però poi lo riprendo.

La cosa che mi è venuta meglio è cercare di essere buona. Quando ero più giovane cercavo di essere brava, ora di essere brava non mi interessa moltissimo, brava per chi? brava a far cosa? faccio del mio meglio e metto un cento per cento di kerika in ogni mia azione, a volte è abbastanza a volte no, a volte faccio bene, a volte la mia vita è come la minestra che mi sono preparata ieri sera, puoi metterci tutta te stessa ma se non è venuta buonissima per questa volta può andar bene anche così. Io faccio del mio meglio. Sto cercando di essere buona e mi sta venendo discretamente bene, mi metto nei panni degli altri, parlo in favore dei più deboli (se non rischio il cazzotto in faccia, lo ammetto), cerco di non arrabbiarmi con chi viola la mia sensibilità, i miei spazi, i miei tempi. Ho parlato molto con Dia (sì, Dia). Da quando ho intrapreso questa strada di voler provare a essere buona a tutti i costi mi sono resa conto che serve qualcuno con cui parlarne e Dia è perfetta. Silenziosa e perfetta. Provare a essere buoni, per me, è molto più complicato che alzarmi e mandare tutti affanculo, credo dipenda dal fatto che un po’ sono capricorno e poi sono anche cavallo, però e nonostante lo sforzo,  la sensazione che rimane è meravigliosa.

 

 

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hai chiamato tua mamma? quale mamma?

Ho preso la detestabile abitudine di svegliarmi alle due di notte, due e mezzo se sono andata a letto tardi. Per un po’ ho fatto finta di niente. Come tutte le volte che ho desiderato di levarmi le scarpe nel bel mezzo di un matrimonio e poi per  questioni di buon vivere non l’ho fatto.  Ho fatto finta di non avere gli occhi sbarrati sul soffitto, ho provato a girarmi su un fianco, sull’altro, sulla pancia, con la testa al posto dei piedi, a coprirmi, a scoprirmi, a fare pipì, a contare le pecore. Ché il buon vivere dice che alle due e mezzo è ora di dormire, e se non è il buon vivere di sicuro lo insinua la mamma.

Non ci trovo nulla di male a essere sveglia e all’ottanta per cento lucida alle due di notte, se non fosse che poi mi alzo alle sei, e a letto non ci posso tornare più. Così dalle nove, dieci, a volte undici in poi (di mattina) vivo nel rincojonimento totale e si sviluppano scenari da assenza di fosforo.

“che pizza vuoi?”

“margherita”

tre minuti più tardi….

“ma mi avevi detto che pizza vuoi?”

Oppure cose più gravi, come non rispondere ad alcune mail, lette, interiorizzate,  pensato alla risposta, solo che poi non l’ho scritta. Oppure dimenticare il latte fuori dal frigo, oppure lasciare il gatto fuori in terrazzo, anche se quando sono uscita di casa sono certa di averlo visto in divano.

Siccome la vita a volte è in tondo, quello che poi accade è che io, alle due di notte,  mi sveglio a rimuginare sul fatto di avere lasciato il latte fuori dal frigo, il gatto in terrazzo, mi chiedo se mi avesse detto davvero che gusto di pizza, penso alla mail… e  avanti e in tondo in tondo in tondo.

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ieri.

Ieri ho lasciato l’ufficio un po’ prima dell’orario di uscita, tanto si sapeva che ci avrei messo un po’ di più ad arrivare al pulmetto. Venezia con la neve è bella, bella e silenziosa e soprattutto, visto che la neve così alta per le calli è una condizione straordinaria, a passeggiarci in mezzo ti convinci che forse tutto è possibile. Pensavo a questo mentre ero a Venezia, ero ottimista, per nulla nervosa e sì, già un po’ bagnata e il vento faceva male al viso ma lo spirito era buono.

Non c’erano gli autobus a piazzale Roma, anzi c’erano ma non riuscivano a lasciare o raggiungere Venezia, i vigili bloccavano e sbloccavano l’ingresso. Saremo stati in trecento lì in piazzale e però continuava ad esserci una sorta di silenzio. Sono salita sul primo pulmetto disponibile, quello che come prima cosa mi avrebbe portata oltre al ponte della libertà, ho deciso di preoccuparmi in seguito del resto del viaggio, una tappa alla volta. Ci abbiamo messo un’ora, abbiamo incrociato persone che attraversavano il ponte a piedi, automobili in panne, altri vigili, protezione civile. Poi c’è stato un lampo ma non ho sentito il tuono. Sono scesa a Marghera che dietro c’era il bus che portava sino a mirano e mi veniva comodo per le tappe successive.

Siamo rimasti chiusi dentro un’ora e mezza questa volta, perché Marghera è una città trafficata già di suo e ieri era incredibilmente trafficata, le donne nell’autobus dicevano tutte la stessa cosa alle persone a cui telefonavano “mi scappa pipì, non so quanto riesco ancora a tenerla”, e pensavo la stessa cosa anche io. Per un attimo ho pensato di chiedere all’autista del pulmetto se ci lasciava scendere tutte e farla in strada.

Quando abbiamo raggiunto i piedi del cavalcavia che da Marghera porta a Chirignago l’autista ha aperto le porte, ha detto che non ce l’avrebbe fatta, mi sono catapultata subito fuori, mancavano pochi chilometri a casa mia e certo fuori c’era una bufera di neve e i lampi, ma sono uscita lo stesso, non potevo stare lì dentro un minuto di più. Pensavo di essere serena, invece no, ho avuto paura, paura tanta, per la prima volta in quel giorno. Avevo detto alla mia famiglia che ero in pulmetto e invece non ero più lì, ero a piedi su un cavalcavia con una decina di auto in panne, con un centinaio di altri pedoni, non c’era molto spazio tra le auto e i pedoni e io ero terrorizzata dal fatto che potessero travolgerci. Non potevo telefonare per avvisare che ero in strada e che sarei arrivata comunque solo alla mia maniera, i telefoni non appena li tiravo fuori dalla tasca si bagnavano e non mi davano accesso a un cazzo. Poi ho visto una signora che non riusciva a partire, le ruote non si attaccavano e lei stava bruciando la frizione o non so cosa e quello che camminava davanti a me si è buttato fuori dal guard rail e ha iniziato a spingere da solo, ed era patetico, era ridicolo e un secondo dopo lo ero anche io patetica e ridicola, in due a spingere una macchina inchiodata in mezzo alla neve, e poi eravamo in tre e non abbiamo smesso di crederci anche se eravamo ridicoli, e poi quando eravamo in sette la macchina è partita e la signora ha ringraziato e noi abbiamo ripreso la strada senza parlare.

Pensavo che se mi fosse accaduto qualcosa di molto brutto non se ne sarebbe accorto nessuno e di nuovo che la mia famiglia mi credeva al sicuro in autobus.

Abbiamo incrociato una seconda auto, io e non so chi, tutti gli altri pedoni, poi una terza, poi una quarta e poi la quinta che era già con la protezione civile, poi altre due. Mi sono avvicinata alla prima e ho spinto con altri, tutti i pedoni spingevano qualche auto, a parte un gruppo di bambini tutti gli altri spingevano ed erano le ventuno ormai. Quando ho oltrepassato il cavalcavia e il cimitero delle auto e dei pulmetti ho pensato che non avevo più paura, che i marciapiedi erano distanti dalla strada da li in poi e che dovevo solo stare attenta a non infossarmi. Ho trovato un fazzoletto e mi sono messa sotto a una pensilina a telefonare, ho detto al capitano che la situazione era così e così e di non venirmi incontro che rischiava di rimanere bloccato anche lui e io non potevo farcela a spingere un’altra auto.

Ci siamo incrociati in una laterale vicino a casa mia, erano le nove e mezza passate, un furgone bloccava la strada, completamente impantanato, la protezione civile era dietro.

Ho messo ad asciugare le cose che indossavo, sui termosifoni, non ce la facevo a fare una lavatrice subito e ci sono stati dei black out. Sono crollati cavi telefonici anche.

Ho avuto freddo tutta la notte, ho fatto mettere una coperta sopra al piumetto ma avevo sempre freddo.

Adesso ho la febbre e sono molto molto stanca.

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-la smetti?-

la smetto di cosa?

-di fare la silenziosa-

sono normale

-no, di solito sei logorroica-

-dai conta-

ho consegnato

-libro?-

eh

-e?-

e niente, sono di riflessione

-tipo?-

sai quando mandi una mail e un secondo dopo, proprio un secondo eh, ti accorgi di aver sbagliato il nome della persona a cui hai inviato?

-cioè hai sbagliato il nome dell’ editor?-

no, certo che no, era per farti capire come ci si sente, e comunque: la editor, femminile

-ma hai sbagliato qualcosa?-

non credo

-e allora?-

e allora ti senti un po’ così, lo stesso, anche se non hai sbagliato.

-ti ha risposto?-

hm

-daaaaaaaaaaai-

sì…

-cosa ti ha risposto?-

spetta…sì…tua mamma è mai venuta a prenderti in clamoroso ritardo all’asilo?

-sempre-

ecco, la mia mai, uscivo sempre prima dell’orario anzi, ma mi sono sentita come ti sentivi tu, ha risposto presto, a fare due conti ha risposto prestissimo ma non cambia. A un secondo dall’invio ero in attacco di panico.

-sei scema-

un pochetto

-è bella?-

la storia? o la mia editor?

-la situazione-

madonna…ma proprio madonna

-adesso allora la smetti?-

non sono silenziosa, sono normale

-hmmmm, mi dici cosa ti ha detto?-

cose belle

-tipo?-

cose belle

-daaaaai Erika, cossa ti ga?-

sono…sono Felice. A volte quando sono tanto triste o tanto  felice sto zitta.

-*aboro, non è mai successo, se savevo…-

sei di simpatia?

-tu sei di esempi emozionali che non hai mai provato, hai idea di come ci si sente quando la mamma arriva a prenderti tardi all’asilo? hai una vaga idea?-

osservo tanto, e volevo farti capire come mi sono sentita in quel momento, non cosa mi è successo.

– adesso però, che sei lì che rimugini, come ti senti? sei davvero felice?-

**ammanego.  ti ricordi la mattina del tuo natale più fico di sempre? ecco.

-insomma non sei  davvero silenziosa…stavi solo studiando il modo di farmi la versione più lunga in assoluto partendo dal mio natale dei cinque anni?-

esatto.

aboro se ti conosco-

 

 

**al massimo delle mie capacità.

*variazione del solito intercalare venexiano che sapete tutti.

 

 

 

 

 

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il mio ventidue dicembre e la vita di Pi.

Il ventidue dicembre è il mio compleanno, questo fa di me una donna capricorno ma con alte influenze di sagittario. Per l’oroscopo cinese invece io sono un cavallo. E’ stato un compleanno bellissimo, per più motivi, è iniziato bene, ha proseguito meglio, si è concluso nel migliore dei modi (io che dormivo col gatto in divano). E’ stato il compleanno delle piccole enormi cose, ho paura a dirlo ma ero felice, sono felice.

La mamma, in data ieri, mancava dal cinema dall’ultima proiezione dell’esorcista, siamo intorno al 1975, lei dice 1976. Io ieri desideravo andare a vedere Vita di Pi e volevo che ci venisse anche lei. La prima balla che le ho raccontato era che al cinema nel 2012 ti legano alla sedia, con apposite cinture, per evitare che la gente cada durante la proiezione, va da se che quando le ho detto che tutti i film (tutti) vengono proiettati col 3d e che era necessario indossare gli occhiali speciali, lei non ha battuto ciglio. Non ho trovato un vita di Pi senza 3d in soldoni.

Ho desiderato, per un momento, di mancare dal cinema da trent’anni, che lo sguardo di meraviglia che aveva lei era bellissimo.

Il film è iniziato esattamente come lo ricordavo nel libro, viene spiegato chi è Pi, perché si chiama così, cosa fa quel ragazzino, dove è nato…poi accade il naufragio, la nave, in cui lui viaggia insieme alla famiglia e agli animali dello zoo di suo padre, si rovescia nel mezzo dell’oceano pacifico e Pi racconta allo scrittore come ha fatto a sopravvivere per 277 giorni. Ang Lee nei 277 giorni tira fuori il meglio degli effetti speciali disponibili ai nostri tempi, qualcuno dice “che puttanata” ma è cento volte meno puttanata di quando l’auto di Bruce Willis, in Red, ruota nel mezzo di un incrocio. La storia che Pi sta raccontando è una magia, è ammaliante, è incredibile, è potentissima e il regista a leggerla la ha sentita come l’ho sentita io e ha preparato la fotografia uguale al mio immaginario. Alla fine del film ti chiederai a quale storia credi, ti chiederai come sono andate veramente le cose, e già solo il fatto che tu te lo chieda è un piccolo segnale.

Ho pianto, ho pianto forte, perché sapevo cosa sarebbe accaduto, perché ho il libro a cuore, perché ero emozionata, perché ero felice e quando sono felice non ho paura a lasciarmi andare. E’ stato molto bello.

Sono ancora molto emozionata.

 

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si tratta di questo.

Il mio gatto maschio è un consumista, sono anni che lo so. Non interviene quando apro il sacchetto del prosciutto, non gli interessa se ho cucinato un pollo, non mi caga, neppure di striscio, se gli propongo del tonno, tonno  da pescheria. La mia gatta femmina invece mi ruba il cibo dal tavolo non appena volto le spalle, che sia l’impasto di latte e pane per le polpette o che si tratti di pasta cruda appena pesata, non le interessa, lei mangia tutto. La mia gatta femmina sembra una gatta che ha fatto la guerra. Il gatto maschio se non sono le pappine con una foto di un gatto sulla scatola non sembra interessato. Lo dico perché mi è appena venuto in mente ma in realtà non si tratta di questo.

Si tratta di che ti ho sognato questa notte, forse dovrei dire anche questa notte. Eri in via case, io ero in via case e tu mi venivi incontro, camminavi, forse dovrei dire camminavi? io ero vicino a casa nostra e tu eri dalle parti del semaforo, era giorno. Noi due siamo il genere di persona che quando ci incontravamo sullo stesso lato di una strada uno dei due cambiava lato, forse dovrei dire eravamo quel genere di persona. Mi venivi incontro e io lo trovavo normale, camminavi e io lo trovavo normale, mi parlavi, mi hai chiesto dove stessi andando e io, beh, lo trovavo normale.

sono ancora il genere di persona che se mi chiedono “dove sei? dove stai andando?” non lo dico per partito preso, sono dati privati.

Ti ho detto che stavo andando a prendere le caramelle e tu lo hai tradotto in sigarette. Hai fatto bene, mentre dormo sono Zeno Cosini.  Mi sono svegliata ancora una volta che non sapevo se il sogno era questo in cui tu eri così o se il sogno è quello di questi ultimi tempi. Mi sono svegliata e mi sono ricordata chi sei, chi eri, chi sei stato e  come sarai domani? cosa sognerò questa notte? Ad ogni modo mi sono svegliata e lo trovo soddisfacente, come trovo soddisfacente trovare le motivazioni e le cause di questi miei sogni, fare introspezione,  priva di un analista, in possesso di qualche studio di psicologia clinica del vecchio ordinamento. Ambo le condizioni statiche da anni.

Ieri sera, nella penombra delle ventuno, sdraiata sul mio vecchissimo divano rosso leggevo Wallace, si trattava di una raccolta di racconti “questa è l’acqua”, si trattava dell’ultimo racconto,  mi ha commossa,  ma ho pensato fosse solo perché so cosa è successo poi, come a volte capita che un amico ti riveli delle parole, a cui dai un valore sempre troppo piccolo, il giorno dopo però al tuo amico accade qualcosa oppure a te accade qualcosa e tu ricordi le parole, e il valore quindi cambia, le parole prendono forza e ti travolgono anche se si tratta di momenti registrati. Si trattava poi del primo racconto di Wallace, ha toccato momenti che non ricordavo di avere trascorso, ha toccato attimi a cui ho partecipato senza viverli veramente, senza sentirli sul serio perché ero impegnata ad andare avanti, a sostenere altri, a tenere in piedi me stessa, così li ho ripercorsi ieri sera e questa notte poi sei tornato tu, con le tue gambe, con il tuo equilibrio, a chiedermi dove stessi andando a dirmi che mi avresti accompagnata.

Mi hai fatto un sacco di compagnia.

 

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sono stata alla Piemme e non ero in gita scolastica.

Non so voi, ma quando ero piccolina le maestre facevano le gite al gazzettino, oppure nelle fattorie, oppure allo squero (per chi non sa: è dove si fanno le gondole o dove si riparano le gondole o comunque ci sono gondole), al museo di Venezia quello col dinosauro, insomma roba varia e eventuale (chi lo avrebbe mai detto che vedere ferrare un cavallo fosse interessante a sei anni) ma in casa editrice mai. Siccome io sono una di quelle che non si vuole perdere niente, oltre al desiderio di avere un pony, di fare la ballerina in un video di Robbie Williams, di imparare a cantare Volami nel cuore di Mina, volevo anche andare in una casa editrice.  Non che abbia scritto un romanzo per andare a visitare la Piemme, chiaro che no, però è così che è andata, magari i bambini di Milano vanno in gita lì a sei anni, io ho fatto per vie traverse, ma non ho perso la sorpresa, giuro.

Una cosa di poca rilevanza che fa parte del pacchetto: si arriva alla Piemme tranquillamente, senza perdersi, neanche se sei veneziano ti perdi, per arrivare al numero civico corretto. Sul portone poi non c’è un campanello  con Piemme scritto in chiaro, così noi nel dubbio li abbiamo suonati tutti, e lì ho avuto la prima voglia vera di scappare, un po’ perché mi sentivo in gita scolastica, di avere sei anni, e soprattutto una grande parte di me sapeva che la mia editor, un’altra persona che ancora non avevo conosciuto, mi avrebbe parlato del mio testo, gli avrebbe fatto le pulci, mi avrebbe chiesto di far morire l’uno o l’altra a metà e magari creare un incendio alla fine. Mi avrebbe fatto cambiare la chiusa, i titoli dei capitoli, i puntini di sospensione messi qui sopra e non più sotto, il criceto da compagnia sarebbe stato meglio se fosse un canarino o anzi ancora meglio un pappagallo ma con un difetto di pronuncia, mi avrebbe fatto inventare un difetto di pronuncia a un altro personaggio ma un difetto che si sente solo quando mente (o se prossimale al pappagallo), e io avrei iniziato a piangere, prima moderata e poi tendente al vitello, a sudare, a perdere sangue dalle orecchie e per poi lanciarmi da una finestra del palazzo. Tutti questi pensieri perché a sei anni la mia maestra non mi ha portata in gita in casa editrice e soprattutto a me è venuta la crisi da prestazione.  Non è accaduto niente di quanto sopra e nel mio libro non ci sono criceti peraltro, però sì, un pochetto ho sudato ecco.

L’attacco di panico mi è passato quando la mia editor (la mia editor) è venuta a prenderci sulla porta (la percezione reale è che ci ha salvati dall’ascensore), mi son sentita meglio da seduta, mi son sentita peggio quando ha tirato fuori degli appunti, mi sono sentita meglio quando è arrivato il direttore editoriale e mi ha fatto un sorriso sincero, peggio quando ho capito che non sapevo come stare seduta, meglio quando ho capito di non essere a un esame, meglio quando la mia editor ha iniziato a parlarmi e del mio libro e con un potere di contestualizzazione che ho sentito mio e della agenzia che mi rappresenta e basta. La mia editor le sapeva tutte e ha capito tutto, ero piacevolmente scioccata, non le è sfuggita una virgola, un passaggio, un colore, un dettaglio, non le è sfuggito niente di niente. Ho pensato “menomale che non è stata la mia maestra delle elementari” che lei qualche cosa se lo perdeva. Quando mi ha parlato del tutto io mi sono rilassata, non c’è niente di stravolgente, non ci sono tagli, non ci sono criceti ne pappagalli, ci sono delle piccole migliorie, delle sfumature (di arancione) e basta. Quando non mi agito vedo le cose meglio, così ci sono stati sguardi di intesa che mi hanno fatta sentire intelligentissima e preparata, ci sono stati i reciproci sorrisi spontanei, quelli che non puoi trattenere, che mi hanno fatta sentire in piena sintonia con lei, con Piemme, con il mio nuovo libro che ancora so a memoria, anche se avevo dimenticato di saperlo. C’era una professionista davanti a me che mi diceva che tutte le sfumature da fare sono perfettamente nelle mie corde, che non è preoccupata e che anzi è molto ottimista, la mia editor è incoraggiante. Avevo voglia di uscire e di raccontare tutto alla mamma, proprio come quando avevo sei anni, proprio come sempre (n.d.erika: la mamma l’ho telefonata dal portone in ogni caso). Devo chiedere alla mia editor se posso portarci anche la mamma anzi, la prossima volta, che quando la mamma aveva sei anni a scuola spesso non ci andava, aiutava la nonna nel lavoro, figuriamoci se aveva modo di andare in gita.

Abbiamo parlato poi della copertina, della promozione, dell’uscita, che non sarà domani, questo ve lo devo dire. Serve il tempo per me di fare le sfumature e il tempo per loro di lavorare, e desideriamo tutti fare tutto per benino, vi tengo sul pezzo.

Ieri ho vissuto un sogno, uno di quei sogni così belli da non avere neppure il coraggio di desiderare.

La moquette della Piemme è bianco tendente al grigio ma a me sembrava arancione.

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lontana da qui.

C’è stato un tempo in cui se non scrivevo un post al giorno accadevano due cose

.) mi sentivo in colpa, mi pareva di aver mancato di fare qualcosa, mi sentivo come se avessi lasciato la biancheria stesa sotto alla pioggia per pigrizia.

..) le persone che visitavano il mio blog tutti i giorni a fasce orarie ben precise si preoccupavano.

Non è più quel tempo, mi sento come se avessi la biancheria sotto la pioggia uguale, solo che penso che posso sempre darle un secondo giro di lavatrice. Le persone  che si preoccupavano, oggi invece  mi trovano su facebook, via sms, via mail. Molte altre persone invece, se ne sono andate, si sono dimenticate di me e io di loro.

Ho incontrato una mia vecchissima amica qualche giorno fa, in un parcheggio. Abbiamo condiviso il banco gli ultimi due anni di superiori, abbiamo trascorso insieme il capodanno del 2000. Non la rivedevo da più o meno allora. La avevo dimenticata. In principio ogni tanto mi dicevo “devo chiamarla” “è un po’ che non la sento” “chi sa che fine ha fatto” poi ho smesso. Ho trovato delle nostre foto insieme un giorno, in un cassetto del comodino, ma erano già passati anni.

Una cosa interessante è che la nuova novella che sto scrivendo parla di persone del passato, di gente che non vedevi da dieci anni o più, persone che avevi dimenticato, che non volevi dimenticare o che hai fatto di tutto per dimenticare, persone che poi, un giorno, (nella cosa che sto scrivendo non accade in un parcheggio)  saltano fuori.

A parte le strane coincidenze, in questo periodo sono stata presa da cose brutte e cattive

.) un intervento chirurgico

..) una anestesia e un antidolorifico troppo leggeri

e da una rosa di cose belle

.) la gita a Sonzogno e Marsilio

..) la frangetta e i capelli rossi,  ma rossi fucsia

…) la mamma che mi ha fatto il ragù

….) la prossima settimana potrò riprendere yoga

…..) il libro che sto leggendo di Scerbanenco

Tutto questo per dire che anche se sono lontana da qui, sono qui sempre, e che nessun intervento chirurgico potrà impedire a Lisa (la mia parrucchiera) di giocare con i miei capelli. Basta far finta di niente, dimenticare, lasciare alle spalle, sperare che il brutto ricordo non ti si affacci alla mente mentre sei in un parcheggio. Andare avanti insomma.

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Era contentissima.

Ho telefonato alla mamma, volevo darle la bella notizia.

Son partita dal solito più e meno di tutti i giorni, il lavoro, la vita, il pulmetto, i gatti, il capitano…

Al culmine del più e meno solito, finalmente le dico che sono piaciuta tanto a questa Grande casa editrice, lei mi dice che è contenta, io le dico che hanno deciso di acquisire i diritti  del mio romanzo, lei mi dice che è contenta.

Dopo sei minuti di reciproca contentezza mi chiede chi è la casa editrice, e io le dico che è la Edizioni Piemme, e lei allora,  sempre più contenta, mi dice “le Edizioni Piemme? ma davvero? ma sono proprio contenta” e io son li che sorrido anche con le orecchie. Le chiedo come mai aveva così ben presente le edizioni Piemme che lei di solito non è tipo da citare editori, e lei allora mi dice “ma scherzi? edizioni Piemme? certo che mi vengono in mente subito, sono quelli che hanno pubblicato anche  Suor Germana” e poi aggiunge ” è l’editore di Suor Germana!” ed era davvero tanto contenta, e sì, anche io.

La notizia ufficiale è qui.

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resta che, se potessi, alla me piccolina lo direi.

Questa mattina, a livello del ponte di ferro, controllavo i cocai che beccavano la spazzatura. Pensavo che i cocai quando sono a terra sono belli, belli e inoffensivi.

A livello del ponte di ferro, mentre guardo i cocai, sento una voce che dice “oi Erika” ed è una di quelle voci da veneziano doc che io non riconosco. La figura dell’ “oi Erika” si avvicina e io metto a fuoco. E’ un mio flirt di quando avevo sedici anni.

A sedici anni io abitavo già a Marghera, avere il flirtino con un Veneziano faceva tanto fico. Con delle amiche avevamo anche provato a trovarci una compagnia a Venezia ma non era la stessa cosa avere il morosetto o la compagnia.

Insomma mi viene incontro questo uomo che io non avevo mai visto, l’ultima volta che l’ho conosciuto aveva diciotto anni, anche al tempo era più alto di me e bello grosso, anche al tempo era abbronzato e io color latte. Come al tempo oggi indossa collanette, braccialetti, una camicia un pochetto aperta e un po’ no che così esce il pelo, i jeans che cadono morbidi.

Mi chiede come sto, di fargli vedere le mani per capire se sono sposata,  lo dice a raffica  “oi more come ti stà? fame veder e man. Ti xe sposada?” io non so perché lo so, ma lui è sposato e forse ha figli, e forse lo confondo con un altro ma non voglio chiedere, mi attaccherebbe un bottone che alle otto di mattina non mi merito e comunque devo volare in ufficio.

Mi viene in mente per un secondo quel pomeriggio in cui lui e io stavamo guardando un film e poi ci siamo piaciuti più del film, mi chiedo come sia potuto accadere di piacerci, perché così, a rivederlo questa mattina, non solo l’ho visto come un estraneo, era uno sconosciuto che non mi sarei mai girata a guardare per strada.

Mi viene in mente di quell’altra volta,  che sono andata a vedere “il silenzio degli innocenti” e avevo tredici anni e tutto il tempo sono stata distratta da uno che al tempo mi piaceva tantissimo e oggi è un ricordo ridicolo.

Infine, ripensando anche ai flirtini delle mie amiche, mi sono ricordata che in quegli anni era giusto innamorarsi, spesso non ci importava veramente il chi, e avere un chi da scrivere sul diario era importante.

Ho smesso di giudicare la Erika adolescema e me ne sono andata in ufficio.

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il mio pensiero è chiuso in me.

E’ da ieri sera alle 23 circa che non emetto suono.  Non una parola, non un fiato, nulla.

Una cosa interessante, ai fini di questo post e basta che non pretendo abbia effetto sulle vostre vite, è che da qualche giorno mi trascino dietro un’influenza. Le ultime parole che ho detto ieri sera infatti avevano quel tono nasale lì, che tutti almeno una volta avete provato.

In genere alla mattina parlo col gatto, chiedo “scusa” a qualcuno dentro al pulmetto, parlo con la mia amica Gabry del bar, dico “ciao” alla tabaccaia, saluto i colleghi.

Oggi sono arrivata in ufficio presto e non sono passata al bar ne al tabacchino, non ci sono ancora i colleghi, il gatto si è fiondato in terrazzo non appena ho aperto la pattarella (sì la pattarella).

Sono le 8 e 05 e inizio a preoccuparmi del come uscirà la mia voce, inizio a preoccuparmene così tanto da esserne un po’ ossessionata. Come quando smetti di fumare e allora pensi che sono già dieci minuti che non fumi e tutto va bene e poi sono sei ore che non fumi e tutto va bene e poi diventano due giorni che non fumi e tutto va bene e allora pensi che accenderti una sigaretta, a quel punto, sarebbe da stronza. Inizio già a pensare che aprire la bocca per parlare, a questo punto, sarebbe inutile. Sì sì.

Il tutto in contrapposizione alle signore che fanno le pulizie nel mio ufficio e che le fanno in modalità cavallare ma a tratti si buttano sul musical, ovvero: comunicano a suon di “ou” “ei” “ohhhh” “uhhhhh” e all’accensione dell’aspirapolvere attaccano a cantare (a un numero di decibel superiore a quello del folletto) canzoni che mi si installano nel meato auditivo e continuano a vibrare lì dentro tutto il giorno.

Il mio pensiero nel merito è ben chiuso in me.

 

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Salone del libro e nuvolette

Sono vecchia e sono stanca ed erano anni che non avevo un movente adeguato a farmi uscire dal letto alle tre del mattino per intraprendere un viaggio di 4 ore in macchina.
Oggi sí.
Il movente era quello che si dice gentleman agreement con la casini editore, punto di incontro padiglione 1 stand A52, riconoscibile, anche senza stare tanto a contare, per la musica, le nuvolette, il mega schermo, i sorrisi straordinari dei responsabili dello stand. Davvero, verificate con i vostri occhi, questa miscela io oggi l’ho vista e sentita solo li.
La parentesi personale è che solo oggi, ho duebaciato, chiacchierato, guardato bene negli occhi, persone con cui avevo lavorato, condiviso dubbi ed emozioni a mezzo messaggi di elettro posta per due anni. E sì ero emozionata. Contenta ed emozionata.
Non ho avuto modo di verificare ogni singolo stand, lo ammetto, però vagabondaggio ne ho fatto e avrei da lamentarmi (chi mi conosce lo sa, ho spesso da lamentarmi) non lo farò, resto sul tono della meraviglia.
Allo stand della casini editore hanno allestito un mini cinema che proietta booktrailers interessanti, le sedie del cinema sono state usate a conforto di qualunque piede richiedesse riposo che l’idea delle sedie l’ha avuta casini e pochissimi altri. I libri sono esposti come nelle librerie con sedie e tavolini di fronte agli scaffali che così ti senti in una oasi del libro e non in uno spaccio di mutande. Allo stand c’erano a disposizione editor in numero maggiore di 1, responsabile comunicazione e promozione, l’editore. E io si ero li che li conoscevo ed ero felice di conoscerli pero’ avrei voluto per un momento essere la Erika settenne con le domande da fare a quelli che secondo me facevano un lavoro interessante, io alla fine ho chiesto poco o nulla ma loro parlavano con tutti e io ho l’orecchio lungo e mi son fatta gli affari loro. Mi è piaciuto sentire che ascoltano i sogni nel cassetto delle persone con un orecchio di riguardo.
Ora sono le 21 scarse, ho tre orette di macchina prima di potere svenire nel mio letto, i miei ultimi pensieri sono due: grazie, sono stata benissimo e grazie anche al capitano che ha reso la mia gita possibile. Il secondo e’ per i miei editor e il mio editore che forse leggeranno questo piccolo tributo privi di alcuna deformazione professionale, che lo sto scrivendo con la sinistra e un occhio bendato.

P.S.: Testimonianza fotografica a breve.

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belle notizie.

“Ciao Erika,
abbiamo finito di leggere e valutare il tuo manoscritto e ti comunico che saremmo interessati a rappresentarlo, in quanto dimostri di avere uno stile molto personale e inoltre il romanzo è ben ritmato, veloce e frizzante.”

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diaro segreto mode on

Update: ho tanto sacchettato le palle alla gente oggi che alla fine sono riuscita ad ottenere un benestare all’invio del testo, senza impegno chiaro e senza anche farmi i castelli in aria che comunque non c’è odore di promessa, c’è però odore di rispetto e di disponibilità e io sono una che lavora e tanto sulle cose e ho passato le ultime ore a editare duro e ancora non sono contenta (non lo sono mai) però più serena sì, tutta la passione che ho potuto metterci l’ho messa.

Oggi mi è arrivata una mail che aspettavo al varco. Chi mi conosce lo sa, se son che aspetto una mail ci penso in continuazione e il mio telefono gli si scarica la batteria da quanto ci vado pesante con gli aggiorna. Oggi la letterina è arrivata ma torno indietro di un pochetto e con il dono della sintesi.

Ho scritto un’altra cosa, un’altra novella, diversa da “il tuo posto nel mondo” che chi mi conosce lo sa seguiva un’idea mezza mia e mezza dell’editore. Quella nuova è diversa…

Sto contattando editori in questo periodo perché anche se l’editore de “il tuo posto nel mondo” apprezza i miei scritti e capisce le mie battute, al momento lui è impegnato in altre cose, così io mi sto guardando intorno, vi volevo dire una cosa che è che lavorare con Casini è bello e lo auguro a tutti e quelli del settore lo sanno che è un editore molto accurato e molto attento ai suoi autori, tra le altre cose io in realtà sto ancora lavorando con loro, uno dei famosi lavori in cui è impegnato al momento, i tempi non sono maturi abbastanza per raccontarvi al dettaglio ma lo farò. Insomma…mi sono esposta con delle persone e ho fatto leggere delle mie cose a queste persone e questo è un momento, uno dei pochi, in cui mi mancano le parole adeguate per spiegare cosa vuol dire per me “sottopongo alla vostra attenzione questo mio scritto” che per quanto io tenga il blog dal 2004, per quanto io abbia una novella edita, per quanto io scriva un sacco di letterine e da sempre, quando qualcuno ti legge è importante, è importante perché ti esponi, mandi via una cosa tua, ci sono mesi di lavoro dietro a quel testo. E’ una sensazione per la quale ho solo queste parole, scusatemi. Mi sono guardata intorno dicevo, ho selezionato una rosa di editori che mi piacciono e una agente che mi piace.

Vorrei scrivere che ho avuto un riscontro positivo ma non è, ve lo dico subito.

Ho avuto risposta dalla agente, una prima mail cortese e che mi ha fatto capire che non mi sbagliavo quando ho pensato lei fosse in gamba, una seconda mail personale, tutta per me, non dico che la prima non lo fosse ma quanti modi volete ci siano per respingere un testo? la seconda mail era proprio per me, una reazione alla mia risposta per il rifiuto.

Anche ora sono a corto di parole ma rivedendo i miei gesti di quel momento ho ripensato a una cosa e il blog è il mio miglior mezzo di sfogo e quindi eccomi…quando ho letto la prima mail non ho pianto, sì ero un pochetto triste da subito perché lei mi piaceva tanto, sono passate circa due ore e io ho accusato il malessere lieve e poi mi sono messa in moto per combatterlo ma lui era con me ormai e resistere è inutile. Ho passato un’oretta in terrazzo e quando è arrivata la seconda mail piangevo come un vitello e mi sentivo come quella volta che a sedici anni Emanuele non voleva uscire con me. Ho preso l’ipod ho messo la musica

alex baroni . cambiare

snow patrol . chasing cars

francesco renga . angelo

la solitudine della Pausini non la ho messa, non la ho, comunque era per farvi capire come ci si sente a volte, inaspettatamente, quando ti innamori ricevi una no.

ditemi in bocca al lupo vah che sono triste.

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io ti amavo e tu lo sai.

Ho voglia di leggere un libro e ho voglia che sia uno di quei libri che quando arrivi alla parola “fine” sei emozionata.  Ho voglia di uno di quei libri che quando arrivi alla parola “fine” ti credi di essere l’italiotto che atterra con volo rayan air e all’atterraggio fai l’applauso all’aria. Ho voglia di un libro da applaudire nel finale. Lo si sa quando si è alla fine di un libro, per un motivo o per tanti altri, lo spessore è breve, il segnalibro che hai messo in chiusura ti segna le ultime pagine, la storia ha snocciolato il novantanove e nove per cento dello snocciolabile. Ho voglia di sentirmi piena di quel libro, così piena che non importa se è finito. Il mio desiderio successivo sarà il non averlo letto per rileggerlo con la stessa passione.

Venerdì portiamo a fare operare il gatto, è da quasi una settimana che rimugino su sta cosa dell’operazione del gatto, mi fa star male e ho realizzato il perché quello vero da poche ore. Certo sono preoccupata per il suo stato di salute globale, certo mi dispiace che gli passi per il sangue una nuova anestesia e certo il fatto che lui sia un gatto e quindi stoico non mi fa stare a cuoretto leggero. C’è di più. Io se dico al gatto che venerdì lo porto dal dottor Tony so che per lui non ha lo stesso significato che dirlo a voi, poi so che posso usare i toni come voglio per fargli intuire la cosa ma non lo faccio, resto sul vago, il tono di mezza via. Gli ho detto che lo porto dal dottor tony a operarlo con lo stesso tono in cui gli dichiaro che è il gatto della mia vita. Il tono quello neutro, migliore di quando si gratta il culo sul tappeto, peggiore di quando ho voglia delle sue coccole. Glielo ho detto ma di fatto non lo sa, vive la sua vita come niente fosse, non ha idea del dolore, del cambiamento, delle medicine, della flebo, del rischio, non ha idea di nulla.

Una volta il nonno paterno si è ammalato, io ero giovane, non ero piccola, ero solo giovane e con i ragazzi per la testa e una voglia assoluta di diventare la regina del mondo, avevo sedici anni e potevo fare tutto. Quando io avevo sedici anni i miei genitori non mi consideravano adulta perché non lo ero, ero una bambina, ero sciocca, lo ero ai loro occhi che tutte le mie cazzate di adolescema le ho fatte di nascosto, parlavano ad alta voce i miei genitori ed erano certi che tanto io non sentissi e anche se sentivo non avrei ascoltato secondo loro che ero piccola, e quindi non erano accurati a tenersi le loro cose. Ho scoperto che il nonno era molto ammalato perché loro due se lo sono detto e non credevano che io avrei colto.

Nella mia famiglia se qualcuno si ammala ed è grave non gli viene detto, questa è una cosa che so bene. Il nonno paterno quella volta lì ha smesso di respirare dopo due notti orribili al vecchio ospedale, lui credeva di essere stato ricoverato per una polmonite. Nei mesi precedenti le frasi che gli propinavano andavano dal “sei dimagrito per la vecchiaia” al “vedrai che ci seppellisci tutti”. Dio quel nonno…era brutto e cattivo e scorbutico, non mi ha mai dato una carezza, mai una. Non mi comprava le caramelle, non mi faceva regali che era tirchio, quando stavo con lui mi portava a vedere lui e i suoi amici che si divertivano a boccette e io no. Lo amavo tantissimo quel nonno. Quella volta che è nato mio fratello e io avevo dieci anni e per la prima volta tutte le attenzioni non erano per me il nonno è venuto a dirmi che non era vero che mio fratello era un bel bambino, mi ha detto “è brutto è tutto rosso e pieno di pieghe…poi diventerà simpatico tra due o tre anni”, quella volta che ho avuto la mia prima crisi di asma ho usato il ventolin di quel nonno, quella volta che mi è entrata la romanza di beethoven sotto le dita è stato mio nonno. Lo amavo tanto.

Non giudico il comportamento dei miei genitori, forse se dici a una persona che ha un mese di vita quel mese di vita un po’ glielo rovini, credo i miei abbiano pensato a questo. Mi chiedo se il nonno avrebbe fatto o detto qualcosa sapendo che stava per morire, mi chiedo anche se non lo sospettasse, mi chiedo se mi avrebbe abbracciata una volta nella vita sapendo che era il primo e l’ultimo abbraccio. Mi chiedo infine se lui sapesse che io sapevo perché io di fatto lo sapevo e trattarlo i modo diverso dal solito lo ritenevo un insulto alla sua intelligenza che di fatto era enorme.

A volte tenere il segreto ad un gatto ti fa pensare cose che sono al di fuori di qualsiasi logica.

Una ultima cosa che mi chiedo è se Jean (un mio amico) leggerà mai questo pezzo e nel caso affermativo sarebbe un insulto alla sua di intelligenza andare ad esplicare il perché i libri che trattano i segreti mi fanno venire la merda al cervello.

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indelebile e aromatizzata alloro e rosmarino.

Ho passato gli ultimi venti anni di vita a perculare mia madre perché al sabato sera la cena era sempre a base di bolliti di carne e i tortellini in minestra con il brodo ricavato da quei bolliti.

E’ da sei anni che sono via da casa dei miei, quasi sette, in questo appartamento la domenica (ad esclusione dei mesi estivi) non è domenica se non c’è il ragù di carne.  Me ne sono resa conto solo oggi, mi sono fatta appiccicare il rito del cibo a cadenza settimanale. Lo metto su al sabato sera, sabato pomeriggio, non appena ho comprato la carne in genere. Siccome richiede ore e ore e ore sul fuoco lo faccio cuocere tra il sabato a qualche ora e la domenica mattina. Adesso è sul fuoco e infatti tra poco vado a vedere se è a posto di acqua e di sale.

Chi mi conosce lo sa, il ragu non è la mia cosa preferita, il mio primo preferito è la carbonara o qualsiasi cosa che contenga pancetta di maiale (gricia per dire), potendo decidere evito il primo e mi lancio a pelle d’orso sui secondi, in assenza di carne va bene qualsiasi preparazione a base di radicchio o di patate. Le uniche cose che non posso davvero mangiare sono i capperi e le acciughe, tutto il resto è gradito e così anche il ragu.

Sono cintura nera a ragu e l’ho fatto diventare un irrinunciabile rito della domenica. Se sono via, se so che salto il pranzo a casa o la cena o tutte e due io lo preparo lo stesso, a volte lo congelo per una sera che magari rientro da lavoro stanca o per un giorno che magari ho la febbre e allora avere un ragu pronto è una salvata. Avere il ragu pronto permette di poter fare una lasagna alla bolognese quasi su due piedi, improvvisandola. Permette di avere qualcosa di poco improvvisato se per caso ti ritrovi con gli ospiti inaspettati. Il rito del ragu non è della mamma.

Tra i cinque e gli undici anni abitavo in un altro posto, a Malcontenta, oggi quella città non so come sia e non conosco neanche tutti i quartieri, quello che so è di quando ci abitavo io e nel mio quartiere i nomi delle strade erano stati dati dai bambini della scuola. Io abitavo in una piazza, piazza dello spazio, la laterale dalla quale ci si arrivava era via del maggiolino, mi piaceva tantissimo. I miei vicini di casa avevano un grande orto e una fattoria, sono stati i miei primi veri amici di quel posto quei vicini li e non c’era alcuna barriera di età a dividerci, anche se io ero giovane e loro avevano l’età dei nonni abbiamo creato in qualche modo un rapporto paritario, da amici veri. I miei genitori al tempo avevano la pasticceria che di domenica era aperta e se già nell’infrasettimanale dovevano parcheggiarmi da qualche parente figuriamoci la domenica che per loro era il giorno di più gran lavoro in assoluto e io non avevo la scuola. Le cose per me hanno iniziato a girare bene quando anche i miei sono entrati in confidenza con i vicini e quando anche se passavo la domenica lì i miei non si sentivano in colpa e io non mi sentivo sola.

La E. la mia vicina con la fattoria si chiamava con un nome con la mia stessa iniziale, alla domenica faceva il ragu, alla domenica faceva il ragu e la pasta fresca e poi suo marito A. accendeva il fuoco in giardino e abbrustoliva il pollo e le costicine di maiale. Credo di essere stata una delle poche bambine che amava le verdure perché mi era concesso di raccoglierle dall’orto e insieme a loro e mi lasciavano mettere da parte quelle che prendevo su io che così poi a pulirle e a tagliarle a sapere che le avevo seguite io dalla raccolta al piatto mi suonava diverso che trovarmi l’asparago impiattato da mamma. La E. faceva il ragu e quello che c’era di diverso rispetto a quello della mamma era l’utilizzo di un sacco di erbe tra soffritto e cottura, ci metteva tanto alloro e tanto rosmarino e altre che non ricordo e la mamma invece nel suo non aveva quel sapore marcato di erbe. La E. infilava tutte quelle erbe, l’ho scoperto anni e anni dopo, perché usava le carni dei suoi animali e io non so bene perché ma le carni dei suoi animali erano più forti in sapori rispetto a quelle della macelleria al dettaglio. Dopo pranzo e dopo avere aiutato la E. a sistemare la cucina con gli enormi tavoli in legno, si poteva andare al pianoforte io ancora non avevo preso lezioni dal nonno quindi copiavo la E. senza sapere bene cosa stesse accadendo e la E. sapeva suonare poche canzoni ed erano tutte di Patty Pravo. La E. non aveva bambini della mia età che le giravano intorno e le prime volte bevevo acqua e poi però ha iniziato a ordinare l’aranciata nella bottiglia di vetro dal camioncino delle bibite e io lo sapevo che la prendeva solo per me. La E. mi insegnava che il grembiule era utile per appoggiarci il cibo che si raccoglieva in orto se lo piegavi su se stesso. La E. mi ha insegnato che bastava una passata di rossetto per far sembrare tutto più colorato. La E. quella volta che A. è morto per un infarto nel suo letto mi ha raccontato tutti i dettagli ed erano dolorosi e io avevo dieci anni e lui era il mio migliore amico e lei mi diceva che gli è scoppiato il cuore e di notte e che lei non riusciva a fare nulla e allora lo ha coperto di baci, su tutto il viso e sulle mani, gli ha dato i baci sugli occhi e sul naso e anche sulla bocca e non le interessava se lui aveva le bave che uscivano dalle labbra e i denti tutti stretti, il mio migliore amico era l’amore della sua vita e lei era li mentre moriva e non poteva fare nulla se non coprirlo di baci. A. è stato il mio primo lutto. A. è stata la prima perdita di una persona che avevo a cuoretto. E’ come se preparassi il ragu alla E. e a A. tutte le domeniche.

Andrò nei prossimi giorni a chiedere alla  mamma come mai le abbia il rito del bollito del sabato, sono sicura che è una cosa indelebile e importante.

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come si dice?

Mi sono resa conto che ho un difetto (uno) però chiamarlo così, chiamarlo difetto, non è corretto, non è la parola che meglio si sposa con questa mia caratteristica, neppure caratteristica si sposa.

dall’hoepli:

difetto
[di-fèt-to]
ant. defetto
s.m.

1 Mancanza, scarsità, insufficienza: le piante sono morte per d. d’acquad. d’ingegno, di memoriac’è d. di cortesia
‖ Essere in difetto di qualcosa, esserne privo, non averne a sufficienza
‖ Fare difetto, difettare, mancare
‖ MAT Per difetto, di approssimazione che rimane inferiore al numero da approssimare
A rileggere la definizione corretta di difetto come prima cosa mi sento ignorante, come seconda cosa mi sento come una che parla col dialettale piuttosto che con l’italiano preciso, come terza cosa elimino un mio senso di colpa, una cosa è dire “maaaaaaacazzo anche tu no” un’altra cosa è dire “è morto il cactus per difetto di acqua, chi lo avrebbe mai detto?”
Stai a vedere che ho un vizio…
vizio
[vì-zi-o]
s.m. (pl. -zi)

1 Disposizione al male, a ciò che è moralmente riprovevole: prendere, percorrere la strada del v.essere sulla strada del v.affondare nel v. fino al colloabbrutirsi nel v.
mi pare esagerato, disposizione al male? esagerato, non va bene.
Volevo, a questo punto, copiaincollarvi la definizione di mania ma quando l’ho letta ho lasciato stare, non è sicuramente neppure quello. Con la consapevolezza che le parole a volte fanno più confusione che chiarezza vado quindi a narrare un fatto.
Era l’estate dell’88, iniziate a sbadigliare, mio padre guidava  una fiat 127 che celeste così (sbiadito) l’ho visto solo quella volta e su una trabant. In estate io andavo in montagna coi nonni un mese, un mese e mezzo se mi comportavo bene (non sono mai stata un mese e mezzo e quando scadeva il mese la nonna festeggiava con alcolici e acquisti su postalmarket), mi ci portava mio padre e il giorno che mi ci portava era sempre di martedì, perché lui era pasticcere e il giorno di chiusura era il martedì.
Nella 127 di quella estate dell’88 avevamo la musicassetta di “musica è”, già. Se prima avete iniziato a sbadigliare, come da mio consiglio, ora è il momento di piangere. “Musica è” è un mini album, fa 5 tracce, durata totale della menata 27 minuti per approssimazione, durata del viaggio da casa mia nell’88, che era la ridente Malcontenta, (chi non conosce malcontenta metta un dito qui sotto) ad Asiago: 120 minuti inclusivi di sosta caramelle e pipì all’autogrill e scena famosa dell’esorcista sui tornanti. I dati che ho riportato svelano che esiste la possibilità che io durante quell’anno e durante entrambi i percorsi di andata e ritorno (eh si, dopo un mese ero di nuovo a malcontenta) abbia ascoltato Eros Ramazzotti Musica è per una media di 4,44 (periodico) volte per viaggio, per due viaggi fanno 8,88 (periodico).
Il primo che pensa che avrei potuto cambiare cassetta è un sempliciotto, ci sono delle superstizioni in questa storia dell’88 che fanno si che se nel viaggio di andata si ascoltava una cosa la si doveva ascoltare anche in quello di ritorno. E’ un’inculata lo so e in ogni caso io e papino abbiamo realizzato il dramma solo in quel momento, quando eros ha deciso di fare una mini cassetta invece che una cassetta vera, se no di solito ci preparavamo la musicassetta noi per conto nostro che papà aveva i vinili e mi faceva un sacco di cassette.
Credo che questo racconto possa essere vietato ai minori di sedici anni perché comunque non capirebbero, poi ho scritto inculata ma credo si usi.
L’altra cosa interessante è che se musica è, il pezzo, fa undici minuti e un po’ ti perdi via ad ascoltare, le altre canzoni sono brevi e  riascoltarle a raggio cortissimo fa male, non vi dico che male che aveva papino che oltre a eros si sentiva me che cantavo a voce altissima, io in qualche modo dovevo straviarmi, se no la macchina mi faceva male anche se non ero sui tornanti, cantare era l’unica via.
Con la 127 e quel modello di autoradio non potevo mandare avanti, così come non potevo mandare indietro, era un vero mangianastri, era consumato sul davanti da quanto vecchio. La radio non ha mai funzionato.
Oggi.
ho creato una decina di playlist che secondo me sono adeguate ai miei momenti, ho anche la possibilità di decidere una canzone tra tutte quante senza accontentarmi della playlist.
Mi metto le cuffie, parte una canzone e con un dito io passo a quella dopo e quella dopo e quella dopo e a volte passano anche dieci minuti sino a che decido quale è la canzone che voglio ascoltare. La ascolto e poi passano altri minuti per trovarne un’altra.
dieci minuti di avanti e indietro e una canzone – altri dieci minuti di avanti e indietro e una canzone…sempre così.
come si dice quando una fa zapping con gli auricolari?

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meglio di una cosa bella c’è solo una cosa semplice e arancione.

Qualche sera fa, che rientravo a casa da lavoro, ho deciso di fare la strada del cantiere. La strada del cantiere sono due chilometri di strada scarsi che mi sparo a piedi, a piedi e al freddo e quel giorno c'era il vento diddio, a piedi e al buio perché nella strada del cantiere non ci sono ancora tutti i lampioni e soprattutto non ci sono ancora tutti i residenti.
Questo nuovo cantiere lo hanno fatto comparire in una notte, son sicura, una sera sono andata a letto e il cantiere non c'era e poi quando sono passata col pulmetto nell'indomani avevano tirato su questo cantiere. Lo hanno fatto comparire davanti a delle case di nuova costruzione. Io che sono una di quelle che i panorama li nota mi sono immaginata i poveretti che si sono insediati scorso anno nelle case nuove e avevano la vista parco e fiumetto con le anatre e quei poveretti ora hanno la vista cantiere e il rumore pure.
Attraversare di sera per di la non è la mia cosa preferita, ho paura di inciampare, ho paura di cadere in un tombino e di essere trovata li dentro due anni dopo, ho paura dei topi che escono dal fiumetto, ho anche paura che ci siano  i malintenzionati. La strada buia è perfetta per i malintenzionati. Comunque ero li e col buio e di sera e attraversavo questi due chilometri scarsi per andare a casa. Mi sono infilata un auricolare nell'orecchio, uno solo che così potevo sentire il rumore degli eventuali malintenzionati e il rumore dei topi. Il rumore invece di io che cado in un tombino lo avrebbero dovuto sentire gli altri, a parte che non c'era nessuno, quasi nessuno.
Inizio a vedere una cosa che pare un' ombra da distante, una piccola ombra, era un contorno umano, non era quello di un topo ed era un contorno solo. Quel contorno aveva qualcosa di strano che gli pendeva da un fianco. Come prima cosa ho immaginato che fosse un bazooka e che volesse bazookarmi. Sono ottimista e nel dubbio preferisco una morte violenta e veloce, non robe da ansia tipo final destination, robe leggere come terminator.
L'ombra mi viene sempre più incontro e io ho deciso che pare trasportarlo con troppa serenità per essere un bazooka. L'ombra è quasi davanti a me e siamo in un angolo della zona del cantiere dove non posso allargarmi, ci devo passare vicina per forza o tornare sui miei passi. Siccome non voglio che mi spari alle spalle, e soprattutto voglio provare a fargli gli occhi da bambi per dissuaderlo dall'uccidermi, continuo per la mia.
Siamo uno di fronte all'altra e lui mi dice "scusa? hai da accendeRe?" ha un bongo legato al fianco, non era un bazooka era un bongo, quello che si suona non quello che si fuma. Il ragazzo più carino dei ragazzi inclusi tra i venti e i venticinque anni. Dovevate vederlo, un faccino pulitissimo e abbronzato e due occhi castani enormi e in testa una serie di dread corte tenute insieme da una fascia. Ho pensato che se fossi stata sua zia avrei perso tutti i miei soldi i mancia da elargirgli ad ogni visita. Gli ho dato il mio accendino in mano che è una cosa che non faccio mai. col cazzo che lascio toccare il mio accendino a uno che non so dove aveva le mani prima di metterle sul mio accendino. 
mi ha ringraziata, ciao, ciao e ognuno per la sua.
Un paio di orette dopo ero già in divano che avevo deciso di fare la serata film, sento tum tum tum tum, verifico che non sia il mio cuoretto e infatti non è. era un tum tum tum tum esterno.
Ho chiamato il capitano che era in cameretta e gli ho detto "senti?" e lui mi fa "si è un bongo in parchetto qui sotto" e io "lo so chi è che suona" e lui allora si mette in finestra e guarda sotto per vedere se anche lui sa chi è che suona, non lo sa. Gli racconto la storia della strada del cantiere e del bazooka che era un bongo e dell'accendino e poi gli dico che secondo me adesso quel ragazzo li mi sta facendo una serenata che le cose belle bisogna anche sentirle.
Una serenata in sol arancione.

Segnalazioni: ho visto l'isbn del mio libro, è stato qualche giorno fa, l'isbn è l'isbn, non c'è un cazzo di interessante in un isbn da segnalare direte. invece si, il mio isbn finisce per 42 e per chi ama douglas adams la mia segnalazione da niente ha un valore completamente diverso. per chi non ama douglas adams come prima cosa vi consiglio di leggerlo che è bello e in ogni caso il 42 secondo me è un numero che sa di arancione.

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a topo…

Avevo scritto un post lunghissimo, l'ho eliminato e ne ho scritto un altro, poi l'ho eliminato e ora sono su questo pezzo.
Credo che una discussione* con un mio amico ieri mi abbia lasciato dei residui di insicurezza sulla scrittura e sul blog. E niente mi dispiace perché volevo raccontare di una cosa felice e non riesco.

discussione*: lui che mi diceva cose che ho già rimosso perché faccio così, rimuovo. io che: muso, voglio alzarmi, voglio andar via, tanto poi tutto quello che dici lo rimuovo.
e però non riesco a scrivere.

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che il rispetto sia con te.

stavo andando a yoga poco fa, docciata di fresco e di corsa (sei minuti netti senza capelli), vestita di tutto punto e con i vestiti yoga lavati e profumati (che i vestiti nuovi puzzano di centro commerciale), pronta anche la borsa con il mio plaid arancione…
esco di casa, faccio una trentina di passi ma piano, velocità bradipo.
mi fermo, tiro fuori una sigaretta, la accendo e la fumo sul posto.
il posto è il cunicolo di sottoportici del mio condominio e degli altri dieci tutti intorno, ringrazio di essere al quarto che ogni tanto riesco a vedere Venezia da lontano e invece porto marghera e la zona industriale me li vedo sempre.
sono li ferma che fumo e mi sento qualcosa che non va, non posso muovermi.
passano due ragazze e dicono che rosa e nando sono in nomination, non so di quale spettacolo (spettacolo?) televisivo parlino, so che una volta quando ero piccola dicevo "che spettacolo danno questa sera in tv?" e poi si guardava genitori in blue jeans e boh, qualcosa d'altro e poi comunque io dopo genitori in blue jeans stavo tutto il tempo a suonare. menomale che avevamo la casa singola e in campagne che non mi sentiva nessuno, a parte i polli del vicino chiaro che si spiega con questo il loro lungo periodo di astensione dal far di uova. un milione di teorie da parte del contadino e invece era solo la kerika che provava la romanza.
di quale spettacolo parlavano le due ragazzine?
il cunicolo dei sottoportici sotto casa mia è una cosa che assomiglia al labirinto, quello col bestio nel finale. mi ci perdevo sempre qui sotto appena mi sono trasferita, poi ho scoperto il bestio, il proprietario di un rotweiller, un coglione. lui e il suo vizio di merda di tenere il cane a guinzaglio lungo, così lungo che il cane fa l'angolo e il proprietario arriva dieci minuti dopo, ignaro che il rotweiller ti sta lavando la faccia perché gli piace mangiarti pulita e non col trucco.
finisco la sigaretta, passa quello del terzo, al terzo abitano in venti, dislocati in quattro appartamenti, cinque in tre dei quttro appartamenti e gli altri quindici tutti in quello che resta. mi piacciono. le loro feste oscurano le mie, io in confronto sono un inetto a feste e voi, cazzo qualcuno di voi, a qualcuna delle mie feste avete partecipato. le mie feste sono fiche. le mie feste sono feste veneziane. 
e però quelli del terzo sono russi.
non posso mettermi in competizione coi russi a feste.
il che fa di me una civilissima residente del mio condominio. se non ci fossero loro mi avrebbero mandato il 113 son sicura. 
sono sicura e sono furba, organizzo feste solo quando so con abbastanza disinvoltura che c'è una festa di quelli del terzo in sincrono.
quello del terzo butta la sigaretta a terra, io la mia la spengo e la infilo nel tombino, ho ancora quella sensazione di merda addosso.
provo a far due passi per andare in direzione yoga e come mi muovo mi vien su tutta la mia giornata, ho sbroccato con un'amica ma non contro di lei contro la mia famiglia immaginaria, ho avuto quello che per comodità chiamerò crollo del nervo e invece non è, è quando sei una donna ma ti fai crescere le palle per la soddisfazione di vederle rotolare davanti a te, soddisfazione.
quando ero piccola a parte bloccare le ovulazioni alle galline e guardare genitori in blue jeans avevo queste sensazioni, brutti malesseri e paralisi.
le detestavo perché non c'era mai un momento giusto per avvertirle, arrivavano sempre in un momento sbagliato e più provavo a scacciarle più mi prendeva il malessere.
come oggi in un sottoportico.
quello del terzo mi ha lasciato il portone aperto. 
quando ho trovato il portone aperto mi sono incazzata come uno squalo, non lasci il portone aperto che sono a trenta metri e non sembro voler entrare in casa, è il quartiere dei furti il mio e in casa ho due gatti, il mio bene più prezioso che se gli succede qualcosa parte lo strazio e per tutti. 
gli ho detto così.
nella mia mente gli ho detto così, poi dal vivo no che resta che io son veneziana (volendo margherotta violenta) ma lui è russo e i film coi russi li abbiamo visti tutti no? tanto per non avere pregiudizi.
ho fatto le scale a piedi che l'ascensore mostra segni della vecchiaia, io e il mio malessere ci siamo trascinati in casa.
ho buttato il giubbotto per terra, ho pensato che forse oggi non era da yoga. quando ho pensato così il malessere se ne è andato, è scemato, è andato affanculo, così come era arrivato.
allora ho pensato che invece di fare buoni propositi per questo dueeundici, invece di farmi promesse che non manterrò mai, invece che inventarmi tante robe, ho pensato che magari dovrei stare qui e stare qui ora e cercare di capire quando voglio e quando non voglio fare una cosa e una volta capito questo rispettare la mia decisione (che è pure la prima regola dello yoga, la prima regola è di rispettare se stessi), vorrei andare anche dalla piccola kerika a dirglielo, le direi così:
"kerika, tesoro mio, se non hai voglia di giocare col biondino ora ci giocherai domani, cambia nulla anzi meglio"
domani, con tutte le forze, provo a spiegare il concetto al mio capo.

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last but not least

ho passato dei giorni intensi, intensissimi, vivi.
ho ricevuto quasi tutti i regali che avevo chiesto a babbo natale, sono fuori di:
la letterina
il bagno in oceano
la carne di renna
il girasole
andare a cavallo da massimo
il desiderio 28

significa che mi si sono avverati numero 22 desideri su 28, mi pare buono.

mi pare un inizio.
mi pare che nel dueedieci abbia ancora senso fare le letterine a babbo natale.
ma non volevo parlare di questo.

ho subito craniosacrale scorsi giorni, una cosa strana. non era forse neanche craniosacrale so che ho sentito i vortici sulla pancia e il caldo e il freddo. so che non ero preparata, io non ero preparata, nessuno mi ha detto "ora ti tratto" nessuno. so che non ero sdraiata su un materassino blu, ero seduta, su una sedia scomoda ed ero piena di mal di pancia e con gli occhi gonfi e col mal di pancia e la pelle verdognola e gli occhi gonfi e l'umore…diomio, avrei potuto incendiare i campi con un rutto da tanto ero incazzata.
e però.
e però secondo me il mio corpo ha memoria a se stante. una cosa che non controllo io, allora quando il mio corpo sente che c'è quello della craniosacrale in zona si mette comodo, lascia che lui si attacchi. Anfatti lui ha detto "vieni qui" e basta, e poi ha fatto tutto il mio corpo, come se io non fossi importante, io il mio umore, il mio mal di pancia, i miei occhi gonfi. lui sente quello della craniosacrale e si mette in postura, si mette in postura anche se siamo su una sedia scomoda. si mette in postura anche se quello non dice nulla, al mio corpo non frega un gran cazzo delle mie resistenze pensavo, non gli interessa, fa nulla se io sono incazzata, se non ho voglia, se ho da fare altro, il mio corpo è egoista ed egocentrico.
un po' lo ringrazio il mio corpo perché se avesse dato retta a me avrei ancora il mal di pancia.

probabile che io non volessi parlare neppure di questo, sarà stato il mio corpo.

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mi son presa qualche giorno di riposo.
riposo da quasi tutto.
passate un buon natale,
christmaslly yours
erika.

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new tree in town

Ciao Babbo Natale,
è da un pochetto che non ci si sente io e te, mi sento in colpa a scriverti solo oggi o in questi giorni di ogni anno e a ignorarti tutto il resto del tempo però mi figuro che magari tu sia in ferie o a zonzo con gli elfetti…no, non funziona. Sarà mia premura scriverti anche in periodi non natalizi, giusto per sapere come stai.
Ho preso un nuovo albero ieri, come già saprai tutti i miei pini precedenti sono morti. Questo è bello, è piccolo, credo sia sul metro e settanta e pesa tanto, pesa più di me, e ha un tronco robustissimo. Non è un pino classico, è un pino canadese. E' bello da far paura. L'ho vestito ieri tardo pomeriggio/prima serata, con delle belle canzoni a farmi compagnia e del prosecco e del formaggio grana.

Sai che non solo tra un po' è natale, è anche il mio compleanno, sai che sono stata buona e che non ho avuto occasioni e tempo per essere cattiva, sai tutte le cose. Ho una bella lista di regali che vorrei ricevere da te.

1) Desidero stare bene, stare bene inteso come in buona salute fisica ed emotiva, lo so che la salute non si compra ma tu sei o non sei babbo natale.
2) Desidero essere forte, lo so che sono forte ma ho bisogno di essere ancora un pochetto più forte, mi serve forza per me e per altri e ho bisogno di essere forte.
3) Mi manca il mio papà di prima, amo quello di adesso ma mi manca quello di prima. Desidero che il mio papà di adesso si goda la sua nuova vita, desidero che sia felice.
4) Desidero che mio fratello e la mamma siano in salute e pieni di forza anche loro.
5) Desidero che il Capitano resti il Capitano.
6) Desidero riuscire a fare bene il corso insegnanti e comprendere l'oscura e ostica anatomia.
7) Desidero che siano disponibili a Venezia i completini yoga che ho visto nei siti internet americani e britannici.
8) Desidero ricevere la letterina che ho chiesto e desidero fare regali che le persone apprezzino.
9) Desidero libri, mi piacciono i libri e desidero libri.
10) Desidero tempo, tempo da riempire di momenti.
11) Desidero un nuovo pigiama oysho (si lo so che ne ho sette ma li adoro)
12) Desidero che se la mamma mi prenderà il perizoma rosso di natale esso sia effettivamente della mia taglia questa volta, non la solita doppia xl che se no secondo lei ho il culo fuori insomma.
13) Desidero una cena spensierata a base di tartare di mucca e patate al forno e vino rosso buono e poi vediamo di cosa ho voglia quella sera. però spensierata mi raccomando.
14) Desidero non rovinare più le cose bianche in lavatrice.
15) posso avere una nuova lavatrice anzi?
16) Sai che non ho mai mangiato la renna? è tanto brutto se ti chiedo di potere assaggiare la renna?
17) Desidero che la renna non sia in via di estinzione.
18) Desidero che il mio nuovo pino non muoia, voglio che sia lui a sotterrarmi.
19) Desidero che l'unica cosa che chiedo ben cotta (il toast) mi venga preparato effettivamente ben cotto.
20) Desidero comprarmi un orecchino che mi piace, eventualmente di farmelo produrre, ho dieci fori all'orecchio destro e nessun orecchino mi piace.
21) Se trovo l'orecchino desidero trovare anche una collanina e un braccialetto da fare un kit.
22) Ho voglia di andare a cavallo ma da Massimo, non in giro, voglio andare da Massimo.
23) Vorrei fare un bagno nell'oceano, quello pacifico questa volta.
24) un girasole.
25)(scarpe e borse come al solito e che però il Capitano non si accorga che ho portato in casa altre scarpe e altre borse)
26) Fai produrre un bel film di quelli che riguarderò sino allo sfinimento (come quando da bambina ho scoperto via col vento)
27) imparare a girare con lo slittino senza pettarmi agli alberi.
28) c'è un desiderio 28 ma richiede un parental control…ricordati del mio desiderio 28.

Mi pare sia tutto.
Ti ringrazio in anticipo per l'attenzione e resto in attesa di un tuo cortese riscontro a stretto giro,
a disposizione per qualsiasi chiarimento colgo l'occasione per augurarti un felice natale

p.s.: Saluti anche da niuppino.

new tree in town
 

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“lascia che elimini tossine” cit.

Ieri ho passato la mia giornata a piangere.
sono seria, dico davvero, qualsiasi cosa accadeva io mi mettevo a piagere.
mattina molto presto, vedo dal pulmetto un gatto piccolo che attraversa la strada ed era freddo e pioveva forte e lui era piccolino e io mi son messa a piangere perché secondo me soffriva e non per tirargliela ma avevo anche paura che finisse sotto a una macchina.
mattina presto ma meno presto, mi è preso un sentimento di tristezza infinita mentre ascoltavo una canzone sul waterpulmetto e mi stavo per mettere a piangere. poi ho cambiato canzone e mi è venuto in mente di lunedì sera che a yoga son rotolata a terra con tanto di tonfo e rotolamento sparso e sono scoppiata a ridere. siccome però ormai era un momento di emotività profonda ridevo ma con le lagrime.
ahi mi ammmoooor.
ho pianto dieci minuti al telefono col capitano, il mio capitano, ci siamo litigati.
poi ho pianto perché la caposala dell'ospedale mi ha manifestato attenzione e affetto.
poi ho pianto perché ho risposto di merda ad un mio amico.
poi ho pianto perché ho detto al mio amico che non volevo rispondere di merda ma soprattutto ho pianto perché ho fatto pace con me stessa ed è stato bello.
poi ho pianto perché ho parlato tanto con mio papa.
io una volta non parlavo mai con mio papa ma ieri abbiamo parlato tanto ed ero piacevolmente emozionata.
poi ho pianto perché avevo comprato tre cioccolatini lindor (quelli rossi tondi con il ripieno refrigerante) e li avevo presi per regalarli a una donna che mi ha manifestato attenzione e affetto (non la caposala, un'altra) e invece mentre la raggiungevo ho iniziato a mangiarne uno pensando che se gliene regalavo due andava bene uguale e poi ne ho mangiato un altro pensando che se gliene regalavo uno era perfetto e non minavo la sua altrettanto perfetta forma fisica e poi ho mangiato anche il terzo pensando che ero stata stupida a pensare di regalarle i cioccolatini, e siccome i lindor mi sono andati in circolo subito ho pianto per gioia indotta da lindor.
farei la firma ad essere "strana" in quei 5 giorni al mese…il fatto è che son strana in tutti gli altri.

 
 

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din din din (un gran cazzo)

ho ricevuto una letterina questa notte, io già dormivo.
dormivo bene perché ieri sera ho fatto yoga.
la letterina mi è arrivata da uno di voi, uno di voi che mi leggete, che voleva mandarmi una letterina da tanto e che me ne ha scritte tante e che gli pareva una cosa del gran cazzo (vedi titolo) che uno sconosciuto mi mandasse le letterine.
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Mi è successa una cosa simile qualche tempo fa, dal nulla mi ha scritto una signorina dicendo che le facevo compagnia e di non mandarla a cagare se si era permessa di scrivermi.
Stamattina ci ho pensato per tutto il tragitto del pulmetto (un'ora perché c'era un traffico di merda), non farò mai una di quella manovre che si usano di questi tempi (tipo il delurking day) non sono social come molti blogger, non sono fica come altri blogger…sono questa kerika e con le mie sicurezze e con le mie insicurezze.
a volte sono triste a volte sono felice a volte sono distrutta a volte vorrei bazookare tutti gli abitanti della terra, non vi elemosinerò mai un commento, mai, anche perché spesso non c'è molto da dire, tipo oggi forse che questo è un post personale e se volete autocelebrativo.
io scrivo per voi. certo scrivo per me, mi piace e lo vorrei fare come professione di scrivere, l'ideale sarebbe avere una rubrica dove rispondo alle domande*, lo sapete, ma scrivo perché so che ci siete voi li dietro, perché spero di farvi sorridere perché cerco il vostro parere (autorevolissimo) perché…perché come dice sempre una mia amica se no invece del blog facevo diario.
più bello di scrivervi per me c'è solo il leggervi, si, anche se non vi conosco.
Grazie.

*dai facciamo il gioco che mi fate le domande e io rispondo?.

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2 nuove regole di comportamento 2.

– asciugare sempre le orecchie, sempre. sempre.

– non fare amicizia con le persone che schiacciano tutti i bottoni del dentro e del fuori degli ascensori. (soprattutto se si è nel dentro)
 

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hai 24 ore

oggi che potevo restare sotto il piumetto un po' di più mi son tirata su un po' prima delle sei. Non c'è un perché, a parte il gatto che mi camminava sopra avanti e indietro. Il gatto comunque era sopportabile.
Ho acceso il melafonetto e come prima cosa mi è arrivato un sms da un numero che non conosco che dice: "hai 24 ore", ho risposto che erano le sei e dieci di poco fa e mi sentivo anche in ritardo perché l'sms mi è arrivato alle 2 di stanotte, io alle due di stanotte ero nella versione ghiretto on.
ho scritto "per fare che?" e son qui che ci penso.
La mia prima idea era che avessi 24 ore di vita. Si perché io sono una di quelle ottimiste. Allora ho riflettuto se fosse questo un buon momento per morire, questo o tra 24 ore e secondo me no. Ho pensato che se morissi alle due di notte di domani mio fratello mi ammazzerebbe. Abbiamo troppe cose in corso di opera in questo periodo io e la mia famiglia.
Allora poi ho pensato che c'è qualcosa che devo fare entro le due di notte di domani ma non mi è venuto in mente nulla. 
Ho un sacco di scadenze da completare in questo periodo, libro, lavoro, famiglia, tasse, desideri. Un sacco di scadenze. Ma nessuna di queste deve essere completata entro le due di notte di domani che io sappia.
Allora poi ho pensato che avessero sbagliato numero. 
Come si fa nel dueedieci a sbagliare numero? e io son coglione forte su ste cose e ho le dita troppo grandi per il mela ma non sbaglio numero. Sbagliavo numero quando ero più piccolina.
Secondo me non me lo dirà che cosa devo fare in queste 24 ore ed è un peccato perché a me piace fare i compiti.
comunque ho deciso, o mi si dice 24 ore per fare cosa o non ci sto.

o.t.: ieri ho ricevuto un presente che mi ha incendiato il cuoretto, non caldo, incendiato. Ci potevo cuocere le uova col cuoretto. 
sempre ieri ho deciso che era un momento di abbracci, una cosa che non faccio mai, ho addirittura preso l'iniziativa, da qui a dieci anni sarò in grado di scambiare pacche sulle spalle ed effusioni a tutti i miei amici. (se non muoio alle due di prossima notte chiaro).
sempre ieri, ero con un mio amico che è afasico e lui voleva che dicessi una cosa a sua mamma che non era li con noi, era al telefono e però non capivo cosa dovevo dirle perché lui mi indicava un dolce alle mandorle che stava sopra al tavolo e la mia sciarpa e io dovevo interpretare e tradurre. non so come ho fatto ma a un certo punto ho detto "Signora, porti una torta al cioccolato" perché la mia sciarpa era nera. Non so se la torta al cioccolato fosse la cosa che aveva in testa in principio il mio amico afasico ma gli è piaciuta.
se muoio il mio blog passa ad anonimista, non fatelo arrabbiare che è del toretto.
se muoio sappiate che vi amo tanto. come lo dicono gli inglesi "I love you sooooo fucking much" 
update: alla fine c'è stato un perepequaquaquaquaperepe con la rubrica di quello che mi ha mandato l'sms.
pare che non solo non fosse riferito a me ma anche che non avesse nulla a che fare con una morte. nel dubbio ho messo la sveglia alle due meno cinque.

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Archiviato in io ti amo e tu lo sai, la di lei vita, marino, shes, unforgettable

prima bevevo il caffe a sinistra, tenevo la tazzina con la destra e bevevo il caffè il più vicino possibile al manico a sinistra.
non solo, il quarto di bustina di zucchero che ci buttavo dentro, veniva mescolato con il cucchiaio praticamente sulla cremina del caffè. il cucchiaino non avrebbe mai e dico mai (MAI) dovuto toccare il fondo della tazzina perché chi sa che cosa c'era sul fondo.
lo facevo solo in quel bar. mi pareva fosse sporco e unto e pieno di microbi e germi e pus, tutto sulla mia tazzina.
poi mi son pensata che chi sa quanti altri bar avevano le tazzine sporche.
magari le lavavano solo a mano senza buttarle in lavapiatti. magari neanche a mano, solo una passatina con l'acqua corrente.
allora il caffè a sinistra lo bevevo poi in tutti i bar.
allora poi ho smesso di zuccherarlo il caffè che così non dovevo aver paura di poter raschiare il fondo tazzina accidentalmente.
poi un giorno un mio amico mi ha detto che in effetti i mancini, quelli che bevono il caffè a sinistra, sono statisticamente inferiori a quelli destri che bevono a destra ma che comunque per esser sicuri sarebbe meglio appoggiare le labbra nel mezzo della tazzina.
allora ho iniziato a bere il caffè in mezzo.
in tutti i bar.
anche al gran caffè quadri in piazza san marco.
anche a casa dei parenti, degli amici, a casa mia.
e senza zucchero.
in alcuni bar, ok in autogrill, son stata tentata dal farmi dare una cannuccia.
poi comunque non appoggio mai le mani o i gomiti o il busto su nessun bancone di nessun locale. se vado a mangiare fuori e non sono da olindo o da simone o da sotto il segno o da giovanni non mangio mai del tutto volentieri. e di sicuro non mangio mai verdura o roba che contiene verdura o funghi che non so se sia stata ben lavata. nelle pizzerie invece mangio tranquilla ovunque perché i forni lavorano a temperature da forno, però la coca cola la bevo dalla lattina che mi pulisco io e non col bicchiere della pizzeria.
e niente, questo è il mio percorso igienico, ho un piccolo tarlo forse son due.
Potrebbe andare peggio.
Potrei iniziare  a buttare via l'angolino del cracker, o della patatina*, o della pizza, che tengo con le dita perché mi farà schifo mangiare quello che io stessa ho toccato pensavo.

* mai e poi mai mangiare le patatine o peggio le arachidi che ti offrono agli aperitivi. sapete cosa ci è passato in quelle ciotole?

 

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7 desideri

Esprimere seetteee desideri 7, pare una cosa facile e invece no. E' una opportunità ma mica è facile. Bisogna stare attenti e concentrati e con un occhio di riguardo alle vendette trasversali.
Insomma ho avuto la opportunità di esprimere sette desideri che ho scritto su un foglietto, il retro di uno scontrino del superemme per essere del tutto esatta.
La maggior difficoltà di stesura riscontrata per i sette desideri è che non c'è una cazzo di penna una che sia in grado di scrivere bene sui retro degli scontrini della superemme.
La seconda cosa che mi ha fatta perplimere è che i desideri erano sette e sette sono anche i vizi/peccati capitali, per avere avuto il 4 politico in matematica in tutti i miei anni di frequantazione di matematica sono andata per assonanza percettiva e mi figuravo che ad ogni mio desiderio per forza di cose avrebbe corrisposto un peccato capitale. Una forza uguale e contraria, mi dicevo, ma qui già siamo in terreno di altre materie.
I primi quattro desideri comunque mi sono usciti a furor di cuoretto, espressi con anima e corpo e respiro, nonostante la cazzo di penna e lo scontrino stropicciato li ho scritti tutti e subito.
Il quinto lo ho dovuto rimuginare un po' che non sapevo se dovevo dare un ordine di importanza alla mia lista e se avessi dato anche un ordine di importanza quale sarebbe stata la manovra corretta?
per dire con il cibo il primo boccone è il migliore ma io mi tengo sempre un pezzo di pancetta per ultimo che voglio essere sicura.
con il vino parti dal basico per arrivare all'amarone della tua vita.
però il primo, causa nostri ideali, è sempre il primo, primo nel senso "al primo posto metto"
allora anche li ci ho speso un po' di tempo.
e poi comunque l'ultimo.
mettendo giù l'ultimo desiderio mi son chiesta se fosse giusto coinvolgere terzi nei miei desideri e se fosse il caso di eventualmente formularli in maniera diversa.
quando dicevo che volevo infilare la testa del mio capo in frigo, non dicevo davvero, quello che volevo era una promozione.
quando volevo che la vecchia del terzo sparisse assieme alle sue sigarette che mi hanno incendiato il terrazzo, desideravo in realtà avere una casa singola con giardino e allarme antincendio.
infilare terzi nei desideri insomma ha qualcosa di storto, a meno che, c'è sempre un a meno che, non si tratti di una cosa bella e solidale e positiva e di amore. Se non c'è l'amore e infili un terzo in un tuo desiderio ti si rovina il karma, non è matematico ed è per questo che io lo so e ne son certa, perché non è matematico.
Desiderio che include un terzo che non sei tu e che tratta amore quindi si può fare.
Io per dire ho utilizzato tre desideri per altri.
Proprio per altri dico, non con me e altri, ho desiderato cose belle e di amore per gente che non sono io.
Non voglio un premio, il premio è che mi si realizzino anche i desideri che ho espresso per altri, però un "che cuore che ho" me lo merito.
non volevo dirlo ma lo dico…il fatto che io abbia desiderato tre cose per altri nei miei sette desideri forse non ha nulla a che vedere col fatto che mi sia stato detto che quelli erano i miei primi sette e non gli ultimi sette. (forse)
vi fo sapere quando mi si avverano.

apro una parente commemorativa per mio fratello Iso.
I "e perché ti sei aperta facebook?"
E"te lo ho detto…ho un periodo di merda"
I" e quindi cerchi consolazione on line?"
E"no, mi punisco per sentire più dolore, mi iscrivo a un social network del quale ho sempre parlato malissimo per dimostrarmi che al mio peggio non c'è limite"
I"quando è che ricominci a tagliarti?'"

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muuuuuuuuuuuuuu

update del dì: mi hanno permesso qualche riga per una mia vecchia storia qui . Grazie.

Ieri ho avuto il bisogno di afferrare le mani di un prete. Me lo ha permesso, gli ho preso le mani tra le mie e gliele ho tenute al caldo per un pochetto mentre gli dicevo che mi aveva fatto taaaaaaaaaaaaaaanto piacere conoscerlo.
mi son subito ricordata di quella volta che ero in Tailandia e anche se sapevo che il monaco non mi poteva guardare e non mi poteva toccare e non potevamo interagirci io mi sono andata a sedere vicino a lui.
mi sono seduta vicina al monaco buddista perché lui aveva un cucciolotto di tigre in braccio e io ci volevo giocare visto che la madre del cucciolotto non pareva essere li intorno.
in ogni caso la cosa che i monaci buddisti non possono interagire le donne non è vera al cento per cento perché una volta in un tempio un monaco mi ha sorriso. L'ho sentito che sorrideva a me anche se non mi guardava.
Oggi è stata una giornata di merda e onestamente è appena partita una canzone di james blunt il che significa che sta addirittura peggiorando (james blunt è voce noia)
vi racconto una cosina da niente mentre spero che parta un pezzo di richard ashcroft. (richard ashcroft voce sesso)
ho incontrato un mio ex.
ok.
ho incontrato l'EX, quello storico, quello tutto maiuscolo.
l'ho incontrato e non sapevo in che rapporti eravamo perché davvero erano anni che non lo vedevo.
nel dubbio per come erano  i nostri rapporti ho fatto la cosa più sensata in assoluto, ho provato a nascondermi dietro a una macchina.
io ero a piedi e lui guidava una station wagon. mi son pensata subito che avesse avuto un bambino da dopo me a ieri.
ha iniziato a chiamarmi per nome ad alta voce mentre ero nascosta dietro alla macchina ed è stato un pochetto imbarazzante, poi però mi sono ricordata che questo mi conosceva gran bene e che forse non era imbarazzante che mi fossi nascosta, alla fine non era neanche la prima volta che mi nascondevo da lui, con lui. ci piaceva giocare a nascondino.
Una volta uscita dal mio rifugio ho avuto la faccia tosta di dirgli che mi stavo specchiando per vedere se ero carina abbastanza.
non mi ha creduta neanche un po'.
continuo a proseguire per la strada, cercando di levarmelo dalle palle ma lui mi sta dietro con la macchina a passo d'uomo, mi chiede di fermarmi ma io non voglio fermarmi, gli dico che ho fretta e che devo andare a casa.
capisco di essere fottuta quando ci guardiamo negli occhi. il mio ex, anzi, il mio EX è un coglione testa di gran cazzo ma è dotato di occhi da mucca. Ha due enormi occhi color nocciola scuro con le ciglia lunghissime, occhi dolcissimi, mi tocca fermarmi.
Stiamo entrambi inizialmente sul vago, parliamo del più e del meno, di lavoro insomma, poi lui passa a dirmi che ha una figlia e io mi caccio in gola tutte le mie cose. Non ho voglia di condividergli nulla, non ne ho avuto bisogno e motivo per anni, non ne ho voglia.  Mi dice che ha parlato con una amica comune di me e che bene o male sa come sto andando avanti.
siccome lui mi conosce ma anche io lo conosco so che è una trappola e che nessuna amica comune gli ha detto come sto andando avanti e che pensava di infinocchiarmi davvero male.
la psicologia inversa  era una delle tre cose che funzionavano alla grande tra me e lui. al secondo posto c'erano le conversazioni telefoniche, al telefono parlavamo bene e tantissimo mentre di persona ci era più complicato, nel faccia a faccia inevitabilmente finiva che ci facevamo male, due passionali del cazzo.
continuo a non dirgli di me e lui un po' si stizzisce. Gli rode proprio.
poi mi dice…tranquillo e liscio, come se mi stesse dicendo che fuori fa un po' freddo "so che te lo ho sempre detto ma…a me piaceva stare con te perché eri intelligente e mi capivi."
è vero che me lo diceva sempre e lo detestavo.
a me piaceva stare con lui perché lo amavo. glielo dicevo sempre.
le persone a quel tempo potevano toccarmi, potevano urtarmi coi loro corpi, potevano venirmi addosso, ero una ragazza affettuosa, ho smesso di essere così dopo la sua venuta.
mi ricordo in un istante tutte le cose che han fatto si che ci separassimo.
mi avvicino al vetro della macchina e gli snocciolo tutte le mie novità del momento.
gli dico che gli farò avere mie notizie a mezzo amica comune e anche se lo sa che non è vero annuisce, annuisce con un sorriso.
si è rasato tutti i capelli e gli dico che non sono contenta che mi piacevano i suoi capelli.
poi ci salutiamo e io per un istinto atavico mi copro il busto con le mani, come a proteggermi.
la voce di richard ashcroft ancora non si è palesata ma almeno sapete in che rapporti sarò col mio EX prossima volta che lo incontro.

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la realizzazione e un ritardo di tre secondi.

m: come stai?
kerika: sto bene ma ho sudato e mi sono agitata.
m.: ti sei arrabbiata? o era colpa tua?
kerika: no non mi sono arrabbiata, non gli ho neanche dato del coglione
 

passano tre secondi
 

kerika: senti…
se io sono a piedi per venezia e una bicicletta mi investe
secondo te di chi è la colpa?
oh ma cazzo.

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che lo sforzo sia con me.

Ieri sera stavo opzionando di farmi portare a casa una pizza, ieri sera pioveva, ieri in realtà è piovuto tutto il giorno e io sono stata all'aperto tutto il giorno. Ieri sera avevo proprio voglia di passare la serata in divano, vestita da casa, coi capelli e i piedi asciutti, con la copertina arancione buttata addosso, e un libro.
Va da se che invece di trastullarmi su cosa cucinare mi sono opzionata una pizza.
La mia pizza preferita, alla mia pizzeria preferita sono due pizze:
Olandese: patatine fritte & salamino piccante
Pizza_Kerika: zucchine grana prosciutto crudo
Le mie due pizze preferite sono in conflitto col mio fioretto, ho iniziato a pensare di prendermi una pizza verdure però li non la fanno bene, buttano le verdure crude sopra alla pizza e si cuociono in forno assieme alla pizza e sono verdure che non sanno di niente…
Ho trovato un posto che mi faceva la frittura da asporto.
Ieri sera ho mangiato una frittura mista e una frittura di soli calamari tutta da sola. Ho mangiato anche le 4 fette di polenta che accompagnavano il tutto e ho mangiato anche il limone, solo la polpa ma lo ho mangiato.
Stavo benissimo. Mi sentivo sazia, mi sentivo bene.
Questa notte ho sognato che mangiavo grissini torinesi con la mortadella. Me li aveva dati mio fratello, mi aveva portato sto piattino e io ho mangiato tutti i grissini e tutta la mortadella e siccome era un sogno la mortadella non aveva neppure un granello di pepe nero (io di solito lo butto via il pepe nero perché non mi piace trovarmi il granetto in bocca). Dopo averla mangiata ho guardato mio fratello e gli ho detto "oh noooooooooo, era mortadella, non potevo mangiare la mortadella." e poi come faccio sempre, mi son messa a piangere e mio fratello, come fa sempre, si è messo a ridere.
Mi sentivo in colpissima, non avete idea.
Quando mi son svegliata ero tutta contenta che fosse solo un sogno.
E' il mio giorno 10 di 15 senza carne.
non ci sto quasi pensando.
Credevo avrei sognato di spezzatino, di tartare, di filetto, di barbecue…invece sto sognando insaccati e salumi.
Come quella volta che son stata vegetariana tre giorni (sia di carne sia di pesce) e mi sognavo il tonno in scatola invece che di banchetti degli dei.
ne deduco che il mio inconscio ha gusti in tema coi miei ma  diversi dai  miei. Il mio inconscio è un palato meno raffinato e più tradizionale. il mio inconscio al mio ultimo pasto mi farebbe mangiare pane e mortadella, io al mio ultimo pasto invece vorrei sicuramente carbonara e tartare.
Sempre il mio inconscio l'altra notte mi ha fatto sognare un uomo, questo uomo è il Dottor B. il dottor B è un neurochirurgo. Il dottor B. è proprio un bel neurochirurgo, per dire se dovessi fare una serie televisiva col protagonista fico prenderei lui. Poi è anche gentile, per dire se la serie fosse stata dottor house non avrei proprio potuto prendere lui. Ho sognato che parlavo col dottor B. nell'attività onirica mi sentivo bene come quando ci parlavo nella vita reale.
Qualche notte ancora prima ho sognato di far pace con una mia amica. questa mia amica quando ci siamo litigate mi ha detto "non ti perdonerò mai" e io ho sognato che ci scambiavamo un bacio e che facevamo pace.
credo la mia attività onirica mi stia suggerendo qualcosa, può volermi dire che potrei iniziare con l'eliminare i peperoni a cena, anzi me lo annoto, prossimo fioretto via la carne e i peperoni a cena.
e poi niente,
ho un pensiero razionale che mi perseguita, questo pensiero mi fa compagnia mentre sono in pulmetto, mentre cammino per strada, mentre faccio yoga, mentre pulisco casa, questo pensiero lo ho sempre appresso ed è una domanda.
"potrai mai essere di nuovo felice?"
e la domanda no,  non è rivolta a me.

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una analisi serena. una serena analisi . analisi serena una.

se mentre tu mi parli mi si infiamma la faccia dalle clavicole alle orecchie…quello dipende da me, mi son pensata di sicuro qualcosa che però non ti ho condiviso e allora mi imbarazzo.

se invece io ti parlo e alzo il tono di voce, alzo ancora, poi ancora, poi mi trovo ad urlare…beh quello sembra dipenda da me ma onestamente, in realtà, dipende da te…non mi dai l'impressione di ascoltarmi sino in fondo o non mi dai l'impressione di ascoltarmi e basta.

se quando ti guardo e poi sto zitta e poi non voglio più guardarti, quello dipende proprio da me e solo da me.
se mi arabbio, di sicuro è colpa mia.
infatti poi, in genere quando mi arrabbio ti starò zitta, chiunque tu sia io ti starò zitta sino a che non mi passa l'incazzatura che mi son presa da sola.

se quando mi vien da piangere e smetto di guardarti negli occhi, smetto di incontrare qualsiasi occhi, e poi tu mi cerchi perché sai che son li nell' angolo che piango, e poi tu mi metti una mano sulla spalla e poi così apri un varco, e poi io lo attraverso quel varco, ti abbraccio. e anche se piango più forte ti resto abbracciata…li però sei tu. non sono io. sei tu.

io sono quella che se ne va,

sono quella che se le fai male, anche per sbaglio, preferirebbe tenerti lontano o lontana, sino alla guarigione piuttosto che farti vedere che le hai fatto male.
perchè una volta che mi hai fatto male e una volta che ne sei anche tu consapevole potresti continuare a farmene o smettere però se smettessi, allora li sarei ancora io, non saresti di sicuro tu, soprattutto se mi hai fatto male per sbaglio.

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buena vista

oggi mi son degnata di venire in ufficio che era da tanto che non mi ci vedevano qui dentro.
vorrei dire che son stata accolta col tappeto rosso ma il tappeto rosso c'è sempre, a prescindere dalla mia presenza/assenza.
il mio ufficio è esteticamente un bell'ufficio. Interni con mattoni e travi a vista, palchetti in legno a terra, marmorino nei corridoi, porte in vetro.
Da due anni a questa parte mi hanno messa in una stanza che ha la vista mare. ok non è mare, è laguna, è canale della giudecca. E' una bella vista.
Due anni fa ero in una stanza di questo ufficio che aveva la vista sulla "dark side of the punto franco".
vedevo la strada, i pedoni, le automobili, una chiesa sconsacrata…e, ah si, vedevo anche la caserma dei vigili del fuoco.
nella caserma dei vigili del fuoco, i vigili del fuoco, ogni tanto  facevano la doccia.
in quel periodo li le riserve di pop corn dell'intera regione veneto si sono improvvisamente esaurite. li avevamo tutti io e le mie colleghe di ufficio nel mio ufficio.
comunque non volevo parlare di questo, questo mi è venuto in mente perché la mia amica Deb, mentre io in questi giorni  non c'ero, si è pensata di fare amicizia con un vigile del fuoco di quelli che spiociavamo tra un lavoro e l'altro.
Stamattina, tutta fiera, ho raccontato al mio compagno di scrivania che ieri a yoga ho fatto l'aratro e non mi sono neanche rotta l'osso del collo. era tutto contento perché dice di ben sapere quale è questo aratro anche se non ha mai fatto yoga. (si comunque non è uguale a quello che dice lui il mio aratro)
non volevo dire neppure di questo.

Volevo dire che sto facendo un fioretto.
davvero.
io.
proprio io.
Non sono neppure sicura si tratti di un fioretto, la verità è che la parola "fioretto" mi piace tantissimo, come pulmetto, telefonetto, cuoretto, tesoretto…fioretto.
Quello che ho fatto, che sto facendo, è di levarmi una cosa che mi piace tantissimo, per un periodo di tempo che ho già limitato sino a domenica 31 di ottobre. Ho iniziato a privarmi di questo piacere sabato scorso, il sedici.
Ci ho pensato bene a cosa avrei potuto eliminare, la prima opzione era "alcolici", facilissimo…era così facile che non sarebbe stata una rinuncia sincera, guardiamo la verità negli occhi. Passo tre giorni su sette in ospedale, due giorni su sette vado a yoga, mi restano fuori un giovedì sera e un sabato sera. Non ho memorie recenti di mie uscite al giovedì. non ho memorie recenti di mie uscite al sabato, non ho memorie recenti di bevute in casa, ogni tanto con della buona carne apro un rosso. Non volevo fare un fioretto che dura due settimane e include nell'arco delle due settimane 4 potenziali tentazioni in tutto. era un non avere occasione per rinunciare.
La seconda opzione era "sigarette", difficilissimo…così difficile che avrei perso. Sono riuscita a smettere di fumare una sola volta da che mi conosco, quella volta ho smesso per amore, anche il fioretto è un gesto di amore e vorrei riuscire. non vorrei fallire e a smettere di fumare al mio primo fioretto mi pare una cosa troppo difficile (anche se me lo sono appuntato per più avanti).
Mi sto privando di una cosa che mi piace tantissimo. tantissimo. Quando lo ho detto al mio collega mi ha guardato come se gli avessi affogato i cuccioli, sempre meglio di quando lo ho detto al Capitano che mi ha riso in faccia e poi ha apostrofato con un "noncelapuoipropriofare".
la tentazione relativa alla mia astinenza si è fatta avanti stanotte per la prima volta, è il mio giorno tre di quindici senza carne.
per una che riceve in dono ogni domenica un ragu che ti resuscita l'autostima, per una che a pranzo mangia panini col manzo o panini col roastbeef o panini col tacchino, per una che una vita senza pancetta non è la stessa vita, per una che una costata di mucca all'ostrica è l'aperitivo perfetto. per una che mentre scrive queste cose a ore 10,00 am perde la bavetta come la lumaca. per una kerika così direi che come fioretto ci siamo.
questa notte mentre dormivo mi son messa a parlare con un prosciutto jamon iberico de bellota, il maiale più buono del mondo.

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del wagner, dei calzini spaiati e del lattice.

 

Son qui che rimugino sul perché, nonostante il mio enorme impegno, ogni volta che tiro fuori i calzini dalla lavatrice essi sono spaiati. Come se la lavatrice nascondesse, per poi non rubare, e far saltare fuori un calzino in più o qualcuno in meno ad ogni lavaggio.

Mentre rimugino sulla cosa dei calzini mi salta fuori una memoria. Avevo tredici anni, quasi quattordici e una infermiera cercava disperatamente di appaiarmi dei calzini.

Stavo in un ospedale. Ero una lunga degenza. Ero una degenza di quattro mesi. Era giugno del 1991, qualcuno di voi già trombava, io ero piccolina, ero così piccolina che mi misuravano il peso in ettogrammi.

Che quell'infermiera intrigata coi calzini è legata a quella degenza lo ho capito dopo un piccolo lavoro di scavo e nello scavo inevitabilmente mi è venuta su una memoria di me che ero così piccola che mi misuravano il peso in grammi. Era l'anno 1984, nel 1984 pochissimi di voi già trombavano.

Inutile negare le evidenze e inutile resistere, sto andando lunga, ormai sono partita dai caparossoei e se pensate di continuare a leggere e dovete fare la pipì vi conviene andarci adesso.

Nel 1984 ero in montagna, ero tutta contenta perché stavo li con lo zio cattivo, io dello zio cattivo ero innamorata persa. Lo zio cattivo si chiamava, non a caso, Marino e chi mi conosce un pochetto meglio sa che Marino è anche il nome del mio amico immaginario, quello che mi corregge le bozze dei post, e si, anche in questo esatto momento.

Ero in montagna con i miei e con i nonni materni e con un sacco di altri parenti ma me ne sbattevo le palle di tutti gli altri perché ero in montagna con lo zio cattivo. Lo zio cattivo era cattivo perché mi prendeva per le caviglie e mi teneva a testa in giù per ore (ok meno di un minuto ma a me pareva fossero ore), mi prendeva per le braccia e mi faceva girare insieme a lui velocissimamente, mi tirava su e mi lanciava in aria. Mi piaceva tantissimo ma ero così fighetta che non sono mai riuscita a dirglielo, urlavo come un ossesso e basta, nel mio cuore credo che lui lo sappia che mi piaceva tanto stargli vicino.

Un giorno in montagna mi è salita la febbre altissima, era così alta che lo zio cattivo mi ha tenuta distante, venivano solo le donne della famiglia nella mia cameretta, venivano li, mi raccontavano le favole, mi mettevano stracci sopra alla fronte, mi imboccavano di the caldo e ho sentito la nonna che parlava di sanguisughe o forse mi confondo con qualcosa d'altro, resta che stavo malissimo. Mi hanno portata al pronto soccorso e mi hanno ricoverata. Sono stata dentro all'ospedale per dieci giorni quella volta ed è stato il mio primo caso di m_d_f. Avevo una infezione all'apparato urogenitale.

Il ricordo più vivo che ho della degenza è un'infermiera, lei era giovane ed era bella ed era buona con me, una volta però mi ha portata al bagno e voleva che facessi pipì dentro a un contenitore. A parte i maschietti, voi femminucce…avete mai avuto il m_d_f? Una acutissima cistite? La sensazione di pisciare lamette? Ho tanto pianto. Ho ottenuto più lacrime che pipì quella volta e loro dovevano controllare se avevo sassetti sui reni non sassetti sugli occhi.

 

Da piccolina, a prescindere dallo zio cattivo, avevo iniziato a guardare il mondo a testa in giù, mi piaceva tantissimo camminare con le mani. Quando non passeggiavo con le mani stavo ore appoggiata ai muri con i piedi per aria, dovevate vedere quanto diventavo rossa in faccia. Dovevate sentire quanto mi rompevano i coglioni tutti… maschiaccio, ti va il sangue in testa, ti spacchi un braccio, ti spacchi la testa, ti viene la meningite (ecco questa della meningite non la ho mai capita ma me la diceva la stessa nonna delle sanguisughe allora penso ci stia di non capire).

Un giorno ho dovuto smettere di passare il tempo a testa in giù perché mi faceva male un braccio, ma male forte eh, mi faceva così male da inibirmi dallo stare a testa in giù e anche se avevo provato a stare in verticale con un braccio solo era una cosa troppo difficile e che avrei dovuto imparare a fare prima di avere male perché comunque lui mi serviva anche solo per imparare li in appoggio.

A proposito, in questi mesi, dopo aver saputo che una mia amica è stata operata al tunnel carpale, ho iniziato a usare il mouse con la sinistra, ho imparato e son contenta, mi venisse quella cosa al carpale destro sarei egualmente in grado di usare il mouse.

La diagnosi dei miei genitori (lui un pasticcere e lei una casalinga con precedenti da parrucchiera) per il dolore al braccio è che sono ipertestaingiù, a smettere di far verticali mi dovrebbe passare il dolore.

Dopo un pochetto che non facevo più le verticali avevo lo stesso male al braccio, mi hanno portata dal mio medico di base (quello che ho a tutt'oggi) e lui è un brav'uomo ed è un ottimista e i suoi pazienti non hanno mai nulla di grave, soprattutto è un ottimista che per dire mio fratello scorso anno è stato malissimo un giorno e ha preso paura ed è andato da questo medico

mio fratello: e insomma avevo sudori freddi e un forte dolore al fegato e faticavo a respirare e poi sono svenuto

medico: ah ma non è niente tromba e starai meglio.

Mio fratello: …

medico: anzi non trombare che magari è una cosa dovuta all'affaticamento, fai così, fatti trombare e starai meglio.

 

Il medico ottimista quella volta mi fa mettere una fascia al braccio, una fascia immobilizzante. Una fascia elastica che ho indossato per un po'. Mi ricordo che un giorno che ho levato la fascia ho pensato che la fascia non aveva immobilizzato un gran cazzo perché avevo il braccio storto, il mio avanbraccio era storto, era così storto che era più piccolo dell'altro. Non so come dirlo meglio di così ma immaginate un bastone da passeggio, bello diritto, il bastone da passeggio bello diritto è il mio braccio destro, ora immaginate un bastone da passeggio con un nodo naturale del legno nel suo finale, quello è il mio braccio sinistro.

Qualcuno chiama questa cosa al mio braccio “disarmonia”, qualcuno la vede come un intervento chirurgico fico, qualcuno morbo di madelung.

Il chirurgo che mi ha seguita lo abbiamo cercato per un anno prima di trovarlo, era vecchio, so che è ancora vivo, credo sia intorno agli ottanta, nonostante fosse vecchio io mi sono innamorata di lui. Sapere che mi aveva presa in cura era rassicurante, sentivo un sacco di amore. Avevo il batticuore bello ogni volta che lo vedevo.

Un giorno, in una visita mi ha detto che avrebbe voluto aspettare il primo sviluppo del mio corpo prima di operarmi, tette, peli, ciclo mestruale, brufoli, robe così. E' questo il motivo per cui io sapevo che sarei andata in ospedale un bel po' prima di andare in ospedale. Per fortuna poi ha aspettato solo il ciclo mestruale perché se stava ad aspettare veramente anche le tette sarei ancora da operare.

Mi hanno preparata bene a quell'intervento, mi hanno preparata benissimo, il piano era questo:

  • Verrai ricoverata quando la scuola va in pausa estiva.

  • La degenza sarà lunga ma da quando sarai in forma in poi potrai andare a casa nei week end.

  • Ti infiliamo un apparecchio in lega leggera sulle ossa dell'avanbraccio che così si raddrizza.

  • L'intervento sarà lungo.

  • Ti preleviamo del sangue tuo da restituirti con calma più avanti.

  • L'apparecchio in lega ce lo devi ritornare che costa milioni.

  • Si si te lo rimuoviamo noi.

  • Dai vai a farti vedere dall'anestesista che poi dopodomani si opera.

  • Si ti dobbiamo depilare il braccio anche se son solo tre peli.

  • Adesso ti mettiamo una mascherina, tu conta da dieci a zero e ci vediamo dopo.

 

Dieci nove otto sette

occhi azzurrissimi del mio chirurgo

il nulla

 

Hanno impiegato sette ore e mezzo ad operarmi e io non ho nessun ricordo di quelle ore.

Mejo.

Sono nella cameretta e vedo la mamma, mi parla ma non capisco, sento male e ho sete.

Era il mio primo intervento chirurgico e mi ero immaginata che all'uscita sarei stata bene, stavo di merda invece.

Un momento che ricorderò tutta la vita è di quando la mamma, che pensava di rassicurarmi, pensava di aiutarmi, ha tirato su il lenzuolo che avevano messo per coprirmi il braccio. Mi ha detto “guarda.” e io ho visto la bestia.

L'apparecchio in lega leggera lo si può spiegare in mille modi, nessuno dei modi è in grado di chiarire l'idea, neppure il mio però vado lo stesso di spiega.

Avete presente quando la gioca (produttore di pattini a rotelle) ha lanciato nel mercato quei pattini che li si poteva allungare tramite una prolunga che stava sotto al piede? Il mio apparecchio in lega leggera era una cosa così, in quel momento in particolare la prolunga era chiusa. Lo avevano attaccato tramite viti al braccio, quattro viti, due infilate nelle ossa del polso e due infilate nelle ossa dell'avanbraccio. Si fa schifo ma soprattutto, nel momento subito dopo l'intervento, faceva male, faceva schifo e faceva male e avevo tutto il pigiama e il lenzuolo pieno di sangue, schifo male sangue = lacrime. Per la fanciulla che ero e per la donna che sono sarebbe bastato il sangue, il sangue anche di altri, a far uscire le lacrime.

L'apparecchio aveva una rotellina con su scritti i millimetri, una volta ristabilita, dopo l'intervento, avrei dovuto girare la rotellina di un millimetro al giorno in modo da arrivare ai due centimetri di braccio che, non per contenuto ma per disposizione, mi mancavano.

Il chirurgo di cui ero innamorata mi veniva a trovare tutti i giorni più volte al giorno. Parlavamo di un sacco di cose, tutte che non avevano nulla a che fare col mio braccio. Mi ero anche quasi pensata che da grande avrei voluto essere un chirurgo come lui.

Poi comunque deve essere successo qualcosa e infatti mi occupo di fine food.

Ero nell'ospedale da quasi un mese e ho iniziato a fare riabilitazione. Mi seguiva una donna, si chiama Maurizia, lei aveva iniziato a seguirmi da prima solo che doveva venire lei su in camera perché io ero deboluccia e non si fidavano a lasciarmi in giro per l'ospedale a camminare col coso sul braccio, avevano paura che mi facessi male. Lei veniva su dicevo e mi muoveva la mano ma pianissimo.

Poi ho iniziato io ad andare a vedere la Maurizia dentro alla sua palestra e c'erano un sacco di persone che facevano le cose con la palla medica. Lei era stupenda, mi faceva sempre ridere ed era bravissima, sapeva come prendermi. Alla mattina mi svegliavo ed ero già che pensavo alla Maurizia.

Un giorno lei non c'era nella palestra, ho trovato uno, un uomo, un maschio, un terapista. Quasi non mi ha parlato se non per dirmi che la Maurizia non mi avrebbe più seguita e che avremmo fatto io e lui insieme. Non so neppure come si chiama, me lo ha anche detto ma avevo chiuso il cervello talmente tanto che non lo ricordo.

Poi si è messo i guanti e ha iniziato a farmi le cose che mi faceva la Maurizia, però non era come lei, anche se mi muoveva la mano uguale non era lei.

Un po' più pesante o un po' più leggero, non era lei.

Una volta ritornata in camera mi sentivo la sua puzza addosso, non era il profumo della Maurizia era la sua puzza e la sua puzza era puzza di guanti in lattice. L'apparecchio esterno in lega non poteva bagnarsi, uno perché costava milioni e due perché se si bagnava lui mi si bagnava il braccio e io in quel braccio avevo quattro ferite pronte a far vermi. Non potevo mai lavarmi bene quanto volevo. Potevo lavarmi solo le dita della mano e solo da sopra il gomito. La puzza di lattice mi rovinava tutti i momenti. Quando il terapista mi veniva a prendere in camera, perché io non sono mai più voluta scendere in autonomia, scoppiavo a piangere. Di sera facevo pensieri su di lui, speravo svanisse nel nulla durante la notte, di giorno quando lo incrociavo nei corridoi lo sfidavo apertamente, gli facevo vedere che facevo i compiti e lo interrogavo su cose che speravo non sapesse, invece poi le sapeva tutte.

Continuavano a saltarmi i permessi week end, non mi lasciavano andare a casa perché avevo sviluppato una depressione e svenivo di continuo.

Un giorno che mi pareva di sentirmi bene e che speravo di andare a casa nel week end mi hanno scoperto un principio di infezione durante una medicazione.

Mi davano delle bibitone a base di cioccolato perché non volevo neppure più mangiare.

Non ho mai detto a nessuno che non mi piaceva stare con quel fisioterapista senza nome, lo sapevo solo io. Mi raccontavo quel segreto in loop, ingigantivo il dolore ogni volta che ripercorrevo i ricordi del tempo con lui, mi annusavo il braccio per sentire la sua puzza. Pensavo usasse i guanti perché gli faceva schifo toccarmi, gli faceva schifo toccarmi perché avevo un apparecchio al braccio (si chiama wagner), gli faceva schifo il wagner perché quel wagner faceva schifo a me.

Non volevo andare veramente in permesso a casa, non ho mai voluto andare veramente a casa, perché i ragazzini son cattivi e io ero nella fase in cui aspettavo le tette e i ragazzini, le due volte che sono andata a casa, mi hanno chiamata robocop. Hanno continuato a chiamarmi robocop per anni dopo, qualcuno ancora mi ricorda così. Ho un blog che si titola capitan uncino, io stessa, ogni tanto, ancora mi ricordo così.

Mi ricordo con una disarmonia al braccio, mi ricordo la depressione, mi ricordo la rabbia verso quel fisioterapista giovane che era peter pan, e capitan uncino peter pan lo odia anche se poi non ne può davvero fare a meno.

 Oggi so che è stato più facile disprezzare un uomo che usava i guanti perché aveva più di un paziente, è stato più facile farsi venire una depressione, è stato più facile svenire = scappare, è stato più facile farsi uscire una infezione, è stato più facile sviluppare un'allergia al lattice, sono state più facile un sacco di altre cose tutte dettate da pensieri negativi piuttosto che ammettere una volta, una sola, la verità. La verità è che mi faceva schifo avere il wagner e che visto che faceva schifo a me, non indossandolo con disinvoltura, procuravo disagi anche agli altri.

Mi difendevo come meglio potevo. Facevo questo.

Non ho mai lavorato su questi ricordi prima di ora, di questi giorni. In passato mi limitavo a dire che avevo rotto un braccio o che avevo un morbo e basta.

Poi deve essere successo qualcosa perché ora son qui.

Una volta mio padre è stato molto male. Molto male. Nulla era in mio possesso se non stare li, potevo solo stare li con lui. Un giorno mentre stavo li sono passata per la libreria dell'ospedale, ero andata a far turismo che non avevo abbastanza testa per leggere. Nella libreria vendevano oggettistica e ho visto una deliziosa coccinella con calamita. L'ho comprata, sono corsa su sino al quinto piano a piedi per attaccarla subito al suo letto. Dovevate vedere che contento che è stato mio papa di quella coccinella. Una volta che doveva farsi la tac ha fatto tenere la coccinella in mano all'infermiera per tutto il tempo.

Poi mio padre è stato trasferito in un altro ospedale e io sono andata a trovarlo e cercavo dove fosse la coccinella perché ero sicura che fosse stata portata via con mio papà. Mio papà mi spiega con parole sue che il suo fisioterapista gli ha fatto togliere la coccinella dal letto perché secondo lui era una cosa pericolosa, che di notte la avrebbe potuta ingoiare.

Ero ferita.

La coccinella era dentro al cassetto dell'armadietto e io ero ferita.

Se mi avesse sputato in faccia invece che far rimuovere la coccinella l'avrei presa meglio.

Ho iniziato subito una sorta di lavoro di distruzione per via di quella coccinella, nei confronti di una persona che non conosco e che però, fatalità, fa il fisioterapista come quell'altro. Per non averlo mai visto me lo immaginavo, me lo immaginavo fatto esattamente come il mio che non ricordo il nome ma se mi concentro abbastanza lo vedo. Ho evitato di vederlo proprio per non confrontarmi con questa cosa.

Realizzo solo ora che avrei potuto vederlo molto prima di quando l'ho visto.

Quando poi l'ho visto ho finto di dimenticarmi della coccinella, così come quando andavo in ospedale fingevo di dimenticarmi che mi trovavo di nuovo in ospedale.

Va tutto bene, è tutto bello, il pensiero è positivo. Ho ignorato un primo allarme.

Solo che non si può mentire sempre, soprattutto non si può mentire a se stessi, le cose saltano fuori in forme e dolori e colori e odori, bisogna solo stare attenti a riconoscerle.

L'altro giorno mentre subivo cranio sacrale mi sono incazzata.

Da sola.

La cosa tutta interessante è che non lo ho capito subito e a un certo punto volevo chiedere a chi operava la terapia se per caso era incazzato, invece come al mio solito sono stata zitta, ho impiegato di più per arrivarci e poi comunque lo stesso non da sola. Mi sono annusata e sentivo odore di lattice. Poi non ero più solo io a puzzare, c'era odore di lattice ovunque. C'era odore di lattice come a un raduno di bdsm.

Realizzo che era il lattice del fisioterapista quell'altro. Un secondo allarme.

Allora niente, stamattina ho fatto un po' di introspezione sull'argomento, mi son levata il wagner dalle palle e poi sono andata in camera, ho tirato fuori tutti i calzini che erano spaiati e li ho accoppiati con quelli che mi sono appena usciti dalla lavatrice. Li ho fatti accoppiare tutti tutti e li ho fatti accoppiare senza preservativo che poi il lattice si sa mai che non lo prendano come un affronto e gli si rovina il karma.

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ieri ho saltato la sessione yoga (e si vede)

Ieri non è stata una bella giornata. E' stata una giornata sofferta, partita con un lieve malessere e terminata con un mal di pancia fortissimo. Questa notte non ho quasi dormito. Questa mattina sto dormendo sul banchetto.
Avevo un mantra scorsi giorni, era un bel mantra e suona più o meno così:

oggi è una bella giornata anche perché ci sei tu*.
 

per me è incoraggiante, devo solo ricordarmelo più spesso, soprattutto è più incoraggiante del mio vecchio mantra che nel caso qualcuno lo avesse dimenticato suona come:

che cuore che ho.

nel mio vecchio mantra ero solo io, nel mio nuovo mantra siete tutti voi. Pensavo a… che cuore che ho ad avervi inclusi nel mio nuovo mantra.

Ieri mattina ho fatto una passeggiata in mezzo alle galline. C'è chi va a funghi e chi va a galline, io ieri mattina ero per galline. A camminare in mezzo alle galline avevo più paura di quando ho camminato in mezzo alle tigri. A differenza di quando ho camminato in mezzo alle tigri non mi sono fatta fare le foto di me in mezzo alle galline che per prima cosa non c'era una buona luce e per seconda cosa eravamo solo in due in mezzo alle galline e stavamo a manina, non si riusciva a far foto. Mentre ero in mezzo alle tigri eravamo in quattro, due che mi tenevano per manina (o mi trascinavano o mi portavano in braccio a seconda di quanto mi paralizzavo tra una tigre e l'altra) poi c'ero io e poi un altro che era li apposta per farmi le foto. Spero che mi crediate sulla fiducia, ieri ho camminato in mezzo alle galline e non sono neanche morta.
Il motivo per cui si sta a manina, sia per passeggiare in mezzo alle tigri sia per passeggiare in mezzo alle galline, mi è oscuro ma per fortuna ho una teoria. Le galline e le tigri non sanno contare e non sono brave nella anatomia, non realizzano come sono fatti i corpi e non sanno contare (lo si evince, soprattutto nel caso delle tigri, dal fatto che quando vedono la gazzella si buttano sul mucchio, ok quelli sono i leoni e lo so ma siccome non ho esatta idea di cosa vada a predare una tigre ho detto gazzella, figuratevi una bestia a caso), il primo elemento che si stacca dal mucchio finisce in pasto alla tigre, sono sicura come la morte che non avete mai visto una tigre uccidere e mangiare due gazzelle in contemporanea, la avete vista uccidere e mangiare una gazzella alla volta e quella gazzella era sicuramente spaiata, era da sola e sembrava la più piccola e indifesa perché distante da tutte le altre. Va da se che se ti stacchi dal branco e attraversi la strada delle galline e delle tigri senza dare la manina ad altri esemplari  puoi anche rischiare di fare la fine del verme. (a proposito di vermi, una volta se trovo qualcuno che mi da la manina vado a nuotare in mezzo ai pesci).

Ieri pomeriggio ho litigato con un disabile perché lui mi ha detto che un mio amico è scemo.
si si sono seria.
Dovevate vedermi, ero furibonda.
Dovevate vederlo, ho pensato che volesse ammazzarmi e tra le altre cose non ero a manina con nessuno.

Poi niente, ieri ho saltato la mia sessione yoga e direi che si vede.

*un giorno che non mi ricordo, mi ricordo solo il contesto ma non è in questo momento di rilevanza,  mi è stato detto "oggi è stata una bella giornata anche perché c'eri tu" e mi si è scaldato il cuoretto e mi son figurata questa frase, senza contesto, in più grande e poi in ancora più grande e poi in enorme e allora ho pensato a quanti cuoretti avrei potuto scaldare io a mia volta. Che cuoretto caldo che avete.

 

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La terapia cranio-sacrale e il more than a feeling (una recensione serena).

 Ieri ho subito un po' di terapia cranio-sacrale ed era la mia prima volta. Tecnicamente sarebbe stata la seconda ma la prima prima volta il contatto era stato veloce ed era una prima volta “sonda” un po' come quando prima di accarezzare un mastino napoletano fai finta di accarezzarlo, gli fai solo annusare le mani, quindi nonostante la sensazione sia stata piacevole e nonostante l'impegno di chi operava, come nelle migliori prime volte la prima cranio-sacrale volta è stata una esperienza quasi del tutto irrilevante se paragonata alla seconda (che poi per tempi e tecniche era comunque la prima…poi se ci sarà una terza volta che però ufficiosamente sarebbe seconda o forse prima non mancherò di certo di raccontarlo).

Una premessa da parte di chi non sa ne leggere ne scrivere: La mia estetista, la stessa che mi fa ceretta e unghie e brufoli, ha un attestato di massaggio cranio sacrale nel suo studio.

Un'altra premessa onesta: Non toccatemi, mi da fastidio. Non sfioratemi non venitemi addosso non usate il mio corpo per appoggiarvi che lo detesto, non sopporto i contatti fisici con persone che non ho espressamente autorizzato ad avere contatti fisici con me e i contatti fisici decido io quali e come. Va da se che la mia estetista a parte farmi peli, unghie e brufoli non può assolutamente aspirare a parlare col mio medico interiore.

Ho subito il cranio-sacrale in una struttura ospedaliera.

Il lato tutto positivo della situazione è che la persona che ha operato la terapia, nel suo merito, è ampiamente qualificata, un po' come lo è la mia estetista nel suo che io la cera non andrei a farla da nessun'altra Alessia al mondo.

Il lato tutto negativo della situazione è che io non impazzisco per gli ospedali e per i medici e per gli infermieri e per i terapisti e in generale per uomini e donne con camici bianchi e magliette bianche e pantaloni bianchi e gli zoccoli. A me non piace stare li, vado in agitazione, mi si chiude lo stomaco mi prende uno stato di ansia ho il batticuore, respiro male, mi fa male la pancia, mi fa male lo stomaco, ogni tanto mi viene un attacco di mal di denti e, soprattutto, perdo il sorriso.

Sono in quell'ospedale tre giorni su sette.

Quando il tutto ha inizio sono tesa, sono così tesa che mi pare di sentire la schiena che si sfalda, presente le cime delle navi che tirano tirano tirano e pensi che prima o poi si distruggeranno? Ecco, così.

Metto in pratica in velocità la mia esperienza sullo yoga, mi guardo che sono in tensione, lo accetto e non faccio nulla per modificarmi, prendo respiri e lascio che i miei respiri si occupino della mia tensione.

Il terapista mi dice qualcosa su un suo paziente che io conosco, mi faccio influenzare dalle sue parole anche se non voglio e immediatamente desidero essere diversa da quel suo paziente sotto alle sue mani. Realizzo di aver paura di essere ammalata.

Continuo a far yoga, uso il respiro per provare a calmarmi e poi quando vedo che non mi calmo per un cazzo accetto che forse va bene se resto in stato di ansia. Non appena lo penso sento il nervo che si rilassa.

Sapevo cosa stava facendo perché glielo avevo visto fare e mi aveva anche spiegato cosa andava a fare, nonostante questo, mentre stavo sul lettino non avevo idea di dove avesse le mani, le braccia, di dove fosse, di cosa stesse facendo. Il mio corpo stava reagendo in un modo che io non conosco e non ho mai sentito, mai provato.

Sentivo vortici di caldo, prima sulla pancia poi ovunque, vortici di freddo, male a un braccio, un dolore lancinante alla testa, il gelo.

Tutto questo in una trentina di minuti.

Quando avevo il sospetto che fosse vicino lo cercavo con gli occhi e poi ero contenta che fosse vicino davvero.

Ho chiuso gli occhi e ho sentito che vicino a me c'erano delle galline e questo, ve lo giuro sul canguro è vero, non era un effetto della terapia c'erano delle galline vicino a dove stavo io. Ho aperto gli occhi e il terapista era ancora li, ho pensato che nell'eventualità che subissimo un attacco da parte di una gallina o due sarebbe stato forte abbastanza da cavarsela da solo, il mio intervento non sarebbe stato richiesto.

Alcuni gesti mi irritavano, mi davano fastidio, ho applicato di nuovo yoga, nello yoga alcune posizioni (asana) non fanno male e non si è comodi semplicemente ti danno fastidio, a yoga ti insegnano ad osservare e basta che cosa ti da fastidio e ho fatto uguale mentre subivo il trattamento.

A un certo punto mi ha detto che avevo un campo energetico fortissimo e che aveva dovuto deglutire. Come prima cosa ho deciso di prenderlo come un complimento e poi ho deglutito anche io che non si sa mai, mi pareva una buona idea. Poi mi sono ricordata del mio ginecologo, quello che ha la brutta abitudine di commentare il mio utero ad alta voce nel mentre che mi visita l'utero.

Poi un sacco di silenzio, nessuna voce, nessuna porta, nessuna gallina, sentivo solo me stessa, sentivo che respiravo.

Poi, sempre col silenzio, se ne è andato. L'esperienza è finita.

Non mi sono dilungata sui dettagli delle sensazioni che ho provato perché credo sia una cosa personalissima e non voglio influenzare nessuno ne in positivo ne in negativo (ho visioni sparse di gente disperata perché non ha sentito freddo o non ha sentito caldo o non ha sentito male alla testa nella esperienza cranio – sacrale), soprattutto è personalissima. Durante la terapia mi chiedevo se la persona che mi praticava il trattamento sentiva qualcosa e se sentiva qualcosa cosa. Mi chiedevo se sentiva il mio male e fondamentalmente mi cagavo addosso perché non essendo un coglione pensavo avrebbe scoperto qualsiasi piccolo danno o disagio del mio corpo in tempo zero. Avevo la sensazione che solo a sfiorarmi potesse vedermi dall'interno e siccome lui non è quella che mi fa i peli avevo paura che potesse riconoscere delle cose brutte.

 

Still point: nel cranio sacrale esiste una cosa che si chiama still point. In pratica basandosi sul fatto che il corpo segue un flusso, chi opera la terapia blocca il flusso per un momento. Bloccare il flusso per un momento vuol dire che quando poi esso riparte lo fa alla stragrande. Ve la ho fatta a grandi linee, i medici e i terapisti e gli operatori e le estetiste e chiunque altro mi perdoni, da profana è come dire che hai il pc che fa lo stronzo, è lento, ci mette dai due ai tre anni a salvare o ad aprire un file e col gran cazzo che puoi avere più di sei finestre explorer aperte, tu che lo conosci gli dai un bel riavvia il sistema e quel riavvia il sistema fa si che il tuo pc per un pochetto funzioni meglio.

Questa era la mia visione di still point per dummies.

Poi se ne è andato. L'esperienza è finita. Mi tiro su dal lettino col colpo di reni perché sono un coglione, mi gira la testa e mi pare di essermi svegliata da poco anche se non ho dormito. Torno a stendermi qualche minuto giusto per evitare di farmi male da qualche parte.

Percorro i corridoi dell'ospedale, faccio le scale dal terra al terzo come al solito, mi sento di trascinarmi il corpo addosso per minuti, forse per quasi un'ora.

Spingo una sedia a rotelle, parlo con un mio amico, prendo l'ascensore, sento che improvvisamente qualcosa sta cambiando.

Mi sento in forze. Sono tornata in forze.

Sono tornata così in forze che mentre ripercorro il corridoio dell'ospedale penso che se alzassi le braccia in aria e solo mi concentrassi abbastanza potrei far saltare via le piastrelle dei mosaici dai muri.

Lo penso e ne sono convinta. Mi sento così e non so se sia uno still point, me ne sbatto le palle io mi sento così.

La persona che spingo sulla sedia a rotelle mi dice “Erika vai piano che mi fai venire il raffreddore” mi devo sforzare per rallentare.

A distanza di 24 ore sono ancora che mi sforzo per rallentare e non far saltare le piastrelle dai muri.

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stuck in a moment

di rilevanza: son tutta contenta perché ieri, a yoga,  in fase di rilassamento ho quasi perso i sensi. Quasi perdere i sensi da sbronza è una cosa, quasi perdere i sensi da sobria è un’altra cosa.

Nel corso dei mesi, di questi ultimi mesi, mi sono convinta di essere in un periodo particolare della mia vita. Mi sono convinta di questa cosa per meglio affrontare il dolore, mi sono convinta di questa cosa per autoconvincermi che in un modo o nell’altro tutto questo passerà, che tutto quello che sto attraversando tra qualche anno sarà un brutto ricordo. Volevo garantirmi che questa sofferenza avesse un inizio e una fine a data da destinarsi. Un po’ come quando firmi un contratto a tempo indeterminato e poi però sai che l’azienda andrà in fallimento o che lavorate li in meno di 12 e allora vi possono lasciare a casa quasi quando e come vogliono. Me la vedevo un po’ così.

Qualcosa è cambiato.

Da qualche giorno, anche se non riesco a definire esattamente il quando e me ne strasbatto le palle di capirne il come,  ho variato atteggiamento. Ho iniziato ad accettare che la mia vita prima era in un modo e ora è in un modo diverso. Ho iniziato a pensare che potrebbe restare sempre così o che potrebbe andare peggio. Mi sono chiesta se sono in grado di continuare ad affrontare il dolore e ho capito che il dolore è già un po’ meno dolore di quanto lo fosse un mese fa e che un mese fa era già meno di due mesi fa. Ho visto altre cose della situazione, ho realizzato che ho più forza di quella che credevo. Ho visto che la mia famiglia è più unita di quello che sapevo e che i miei amici mi amano molto di più di quanto immaginavo. Tutto questo grazie a quell’immenso dolore. Ho conosciuto persone nuove, ambienti nuovi, mondi nuovi, sempre grazie a quel dolore.

Il resto non conta.

Ho smesso di chiedermi come sarà tra un mese o sei mesi o un anno. Ho smesso perché non mi serve, non ho bisogno di controllare la situazione, non più. Ho smesso perché ho capito che dolore o non dolore, sofferenza o non sofferenza la mia vita è ora, adesso, in questo esatto momento, la mia vita non era ieri e non  sarà domani, esiste solo "ora" continuare a preoccuparsi e soffrire in anticipo non ha alcun senso.

 

 

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comunque poi avevo freddo davvero.

Scorso anno a settembre mi sono andata a iscrivere a un maneggio. Poi, dopo la volta che ho dato un bacio a una staccionata (dicembre), sono andata a cavallo altre due lezioni e poi basta.
Nonostante il mio equipaggiamento da giovine cavellerizza in salute sia ancora li io non ho la minima intenzione di tornare al maneggio.
Va da se che mi servisse di iscrivermi a qualcosa di nuovo per settembre.
Mi è arrivato un sms scorsi giorni, era da parte di Nicola quello che mi insegnava kick boxing "ciao, il corso riparte martedì 14, dai vieni, chiamami. N."
ero tentata eh. Kick boxing mi piace sempre, poi sudi di sudore bene e se stai attenta non ti spacchi neanche una costola o due*.
Per qualche motivo che ancora non so mi sono iscritta a yoga.
Ho fatto la mia prima lezione martedì 14, non ho chiamato Nicola per dirglielo perché non puoi chiamare uno con il quale tiravi calci e pugni e urla e dirgli che adesso vai a fare Yoga. Semplicemente non puoi.
Fatta la mia prima lezione yoga ho deciso che voglio diventare la prima della mia classe yoga.
mi piace tantissimo.
per prima cosa la lezione si svolge in assoluto silenzio per tutti a parte che per il maestro e se devo essere onesta a volte il silenzio è proprio piacevole.
per seconda cosa mi hanno insegnato come far rallentare il cuore e mi pare una cosa fica abbastanza e che non sanno fare in molti.
per terza cosa alla fine della lezione ti fanno fare il rilassamento e il maestro prima di farlo aveva detto "copritevi perché con la forza della mia voce e del vostro pensiero vi si abbassa la temperatura di un grado" e io non ci credevo e pensavo fosse per suggestionarci e invece poi avevo un freddo di merda.
ultimo ma non meno importante, ho fatto la vrkshasana  **e non sono neanche morta per lo sforzo, il che è sempre un buon motivo per tirare innanzi.
namaste.

* praticamente all'inizio della mia esperienza da kicker (quando ancora mi cagavo addosso) avevo il brutto vizio di dare le spalle all'avversario quando vedevo che tirava su il piede, che vuol dire che lui/lei volente o nolente ti arrivava dritto sulle costole
**non fare quella faccia, so che sembra facile ma non è facile. è difficile.

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in questi giorni di assenza credo di aver provato la vera fede. La fede di chi crede anche se non vede e anche se non ha prove, la fede che è fiducia in chi realmente non conosci.

è una cosa strana perché applicandola al quotidiano ho un sacco di fede, ad esempio con l’autista del pulmetto, io salgo e so che da quel momento in poi devo aver fede nella sua guida. metto via la mia testa, i miei movimenti, la mia guida, le mie consapevolezze e lascio fare a lui, guida lui e all’interno del pulmetto è lui che ha il comando e in un certo senso potere di vita o di morte nei confronti dei passeggeri. Il punto è che nel quotidiano e nel pulmetto non è mai successo che io abbia messo in dubbio in maniera grave le potenzialità di guida dell’autista perché alla fine il massimo che ho perso, quando ho perso qualcosa, sono stati dei minuti del mio tempo per una guida troppo lenta.

In questi giorni è stato un po’ diverso e non si trattava neppure di quotidianità, si trattava di altre cose. Non mi è neppure stato chiesto di aver fede, si trattava di una cosa sulla quale non avevo competenza, non potevo metter bocca. Si trattava di una cosa completamente al di fuori del mio controllo e sapere che puoi scendere dal pulmetto aiuta, io non potevo neppure scendere dalla giostra della mia vita, è la mia vita. Io potevo solo aspettare, aspettare e avere fede, aspettare e avere fiducia, anche quando i sintomi e i segni mi dicevano male io aspettavo e avevo fede e fiducia.

ho avuto fede verso delle persone che non conosco e per avere fede nei loro confronti mi sono messa a chiacchierare anche con la figura a mia immagine e somiglianza che ugualmente non conosco, ci chiacchieravo di notte in posti inimmaginabili, in delirio di stanchezza, vorrei dire che l’ho vista poi la figura a mia immagine e somiglianza, sarebbe una bella chiusa, invece non la ho vista ma so che a chiacchierarci anche se non l’ho vista, mi son sentita un po’ meno sola.

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Archiviato in io ste cose non le so, la di lei vita, nebbia

della mancanza e della abitudine.

Non sono la regina dei trattati ma, pensavo alle mancanze e inevitabilmente alle abitudini.
Quando uno dei nostri cari ci lascia in via definitiva, una morte ad esempio oppure un trasferimento, oppure ancora la chiusa di una relazione. Pensavo a cose così. cose leggere.
yeeeeep shit happens and it's gonna be worse.
in psicologia clinica esiste una cosa chiamata lutto, anche se non è relativa alla morte di tipo fisico.
lo so perché ho peccato di studi di psicologia clinica. In un mio periodo di vita che identifico tra i diciotto e i ventitre anni. Mi ero appassionata di psicologia perché da grande avrei voluto fare la psicologa del lavoro. Quelle che stanno negli uffici a sentire i pettegolezzi dei dipendenti tipo.
Poi ho smesso e ho intrapreso la carriera del food, magari a uno gli pare una via semplice quella del food ma a dirvela tutta, prima di essere la regina del food, sono stata la sbarbina del food e ho subito anni e anni di nonnismo.
Insomma friggevo patatine in un pub.
nowadays sono nella testa e nel cuore di chef tra i più ambiti del mondo per poter garantire loro i prodotti che hanno in testa, i prodotti che hanno in testa sono diversi da quelli che hanno sulla lista di prodotti che mi propongono di trovare.
perché vi racconto della mia carriera e dei miei studi e della mia vita? perché se avessi continuato la strada della psicologia del lavoro questo mio trattato sulla mancanza e sulla abitudine vi sarebbe stato presentato in maniera diversa.
Se un giorno al supermercato vuoi la pancetta perché vuoi fare la carbonara e la pancetta alla fine non c'è, prendi magari il tonno, fai la pasta col tonno. Il giorno dopo la pancetta di nuovo non c'è e prendi i gamberetti, pasta gamberetti e zucchine. Il giorno dopo ancora ti fai la pasta cotto panna e funghi…poi la puttanesca…poi col ragu.
Realizzi che la pancetta è definitivamente fuori produzione, non commercializzata in italia, completamente esaurita.
non c'è più pancetta.
un po' ti manca, ti manca tanto, nonostante la mancanza devi sopravvivere e gli altri ingredienti sono un'utilità.
ogni tanto ci pensi e realizzi che comunque stai vivendo in ogni caso senza.
va tutto bene.
un giorno dopo tanti giorni vai in un super che non è il tuo, scopri che c'è pancetta, te la porti a casa e ti fai la carbonara diddio, quella che tre giorni per digerirla non sono abbastanza, quella che poi fai i sogni erotici con il vecchio del terzo e perdi il desiderio per sempre, quella che ti abbiocchi sul tavolo con la forchetta a mezz'aria (non in questo ordine è a ritroso)
da qui ci sono due opzioni
la pancetta ti è mancata e lo realizzi solo nel momento in cui è nella tua bocca che ti è mancata proprio tanto e che anche se credevi di si non potevi davvero farne a meno.
oppure
si mi mancava ma comunque sta bene, nessuna sigaretta post carbonara dopo la carbonara…allora forse non ti mancava per davvero, allora forse non ti è mai mancata, allora forse non c'era per davvero tutto questo amore con quella pancetta o forse c'era ma è finito, ti sei abituato senza.



pensavo a come avrei esposto questa cosa della mancanza e della abitudine se niente niente fossi stata la massima esperta di campioni allergenici (i patch test tipo).

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Archiviato in bah shes an artist, la di lei vita, marino, shes