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I’m loving angels instead.

Mi pare fosse la serata di apertura di Xfactor quella che aveva come ospite Robbie Williams, non ne sono sicura e non lo voglio cercare in internet, in questi giorni sono poco concentrata, rischio di perdermi per non tornare più. In una delle serate di Xfactor c’era Robbie Williams, di questo sono certa. Ha cantato Candy, sembrava contento, pareva divertirsi, risultava simpatico ad Alessandro Cattelan. Durante la sua esibizione è andato vicino a una signorina del pubblico e le ha cantato in faccia, la signorina del pubblico lo guardava come io guarderei un cinese che improvvisa una esibizione di nunchako sul divano di casa mia (ok bravo però adesso anche ciao). Ricordo di avere pensato che anche io avrei guardato così Robbie Williams, se fossi stata la signorina del pubblico di quella sera. Poi mi sono anche ricordata dei Take That e del post Take That. Mi sono ricordata di quando desideravo fare per mestiere la ballerina dei video di Robbie Williams, di quando vedevo un suo concerto in televisione e mi paralizzavo, di quando aveva tirato sul palco una ragazza del pubblico e si sono infilati le rispettive lingue in gola. Era il 1996, pare ieri.

In un’altra puntata di Xfactor poi era ospite un gruppo (One direction), il membro più vecchio è del 1991, il più giovane del 1994. Le ragazzine del pubblico di Xfactor hanno iniziato a piangere e a strapparsi i capelli, prima che iniziassero a cantare, hanno pianto quando Cattelan li ha annunciati. Nessuno può levarmi dalla testa che Robbie Williams si aspettasse una reazione maggiore o uguale a quella per i One direction, da parte della signorina del pubblico. Secondo me lui si aspettava che la signorina si mettesse a piangere o che si emozionasse vistosamente o che avesse qualche reazione diversa dal: ok bravo, però adesso anche ciao.

Riflettevo su Robbie Williams in questi giorni e in particolare mi sono chiesta da quant’è che non piango per una canzone. Era una delle mie cose ricorrenti il piangere per una canzone. E poi riflettevo sulle aspettative in generale, ecco riflettere sulle aspettative è ancora una mia ricorrente. Parlavo con una amica qualche giorno fa, aveva trovato delle persone cortesi e molto a modo in un primo contatto telefonico con un negozio, si aspettava altrettanta cortesia da parte di un altro referente dello stesso negozio, quest’ultimo invece era uno stronzo. Oppure una mia altra amica diceva che se avesse dovuto basare le amicizie sugli auguri ricevuti… fanno una manciata di amici. Sono tutte aspettative. Ho citato due esempi (li ho vaghizzati) di questi giorni ma ce ne sono tante. Credo che tutti noi abbiamo inviato dei messaggi a cui nessuno ha risposto, credo che ognuno di noi abbia mancato di rispondere a un messaggio, almeno una volta nella vita.  Credo che qualcuno abbia cantato una canzone in faccia a qualcun’altro senza provocare  reazioni diagnosticabili a occhio nudo. E poi penso che in effetti siamo statici, anche se dinamici, io almeno. Io che cresco e mi accorgo che Robbie Williams non mi emoziona più e mi manca l’emozionarmi come per Robbie Williams, mi manca di piangere per Pinocchio, vorrei non avere mai visto Up per rivederlo con gli occhi della prima volta. Mi manca la sensazione di grande evento di quando ricevevo una mail.

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Era contentissima.

Ho telefonato alla mamma, volevo darle la bella notizia.

Son partita dal solito più e meno di tutti i giorni, il lavoro, la vita, il pulmetto, i gatti, il capitano…

Al culmine del più e meno solito, finalmente le dico che sono piaciuta tanto a questa Grande casa editrice, lei mi dice che è contenta, io le dico che hanno deciso di acquisire i diritti  del mio romanzo, lei mi dice che è contenta.

Dopo sei minuti di reciproca contentezza mi chiede chi è la casa editrice, e io le dico che è la Edizioni Piemme, e lei allora,  sempre più contenta, mi dice “le Edizioni Piemme? ma davvero? ma sono proprio contenta” e io son li che sorrido anche con le orecchie. Le chiedo come mai aveva così ben presente le edizioni Piemme che lei di solito non è tipo da citare editori, e lei allora mi dice “ma scherzi? edizioni Piemme? certo che mi vengono in mente subito, sono quelli che hanno pubblicato anche  Suor Germana” e poi aggiunge ” è l’editore di Suor Germana!” ed era davvero tanto contenta, e sì, anche io.

La notizia ufficiale è qui.

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l’educazione animale ai tempi di kerika.

Di giorno riposano dentro alle fessure, nei muri, negli alberi, nelle grotte? non ci sono grotte al villaggio dei fiori. Al primo crepuscolo sono in processione sul mio terrazzo. Il terrazzo sistemato a nuovo con le piante fiorite. Una volta in Taliandia un Tailandese mi ha detto di osservare bene un albero, un albero enorme in un’isola in cui c’era nulla a parte quell’albero e altre isole e il nulla (in teoria dovevano esserci le scimmie ma per qualche ragione che non ho capito non c’erano), l’albero era ricoperto di ombre scure, il tailandese li chiamava black points, punti neri, sì sì erano pipistrelli.

Quando ero piccola, ma neanche tanto, mi dicevano che i pipistrelli mi si sarebbero attaccati ai capelli e che mi avrebbero pisciato in testa e i capelli non mi sarebbero cresciuti più. Va da se che quando giravo di notte in campeggio usavo sempre le maglie col cappuccio. Una volta che ero in Venezuela qualcuno mi ha detto che un pipistrello gli ha mangiato il cane, e io lo sapevo che Caracas era una città pericolosa ma me la facevo così per gli umani.

Dicono che il pipistrello del villaggio dei fiori (casa mia) possa inghiottire intorno ai 3000 mussati(zanzare)/notte e che si nutra solo di quelle. Un po’ me li vedo “andiamo a cena” “sì dai” “mussati vi va bene a tutti?” “mussati è perfetto” “prenoto per sei in terrazzo della kerika…appena ristrutturato”

Che poi non sono in sei, sono in due, non li ho mai visti da vicino per poter dire che sono sempre i soliti due ma ho un presentimento. Li vedo che son li che ronzano da quando sono sotto casa al mio rientro e li guardo con mezzo terrore. Una volta salita in casa col cazzo che apro le finestre che di volatili ne sono già entrati che basta. Allora sto li, prigioniera e nel dubbio del se saranno in grado si spaccare una finestra tengo i capelli raccolti.

Il cavallo di fiume.

Già solo il nome è fantastico, quando ero piccola lo chiamavo Ippopota perché non avevo idea di come eventualmente declinare un femminile o un maschile. L’ippopota come prima cosa non vive *anche* nel villaggio dei fiori, come seconda cosa mangia più o meno 40 chili di erba al giorno. Non ho idea del se l’ippopota abbia mai ucciso il cane di uno di Caracas ma so che ogni tanto si uccidono tra loro…che vuol dire tutto e niente, ci sono un sacco di specie che si uccidono tra loro. L’happy hyppo “in the jungle the mighty jungle the lion sleeps tonight” è una delle cose che mi fa sorridere sempre e gli copio il balletto anche da sobria. Uno dei comportamenti sociali prevalenti dell’ippopota è la “defecazione da sottomissione”…me li immagino “ti ho detto che il capo sono io” “non è vero” “non provocarmi” “senno?” “senno ti cago addosso” seguono 40 chili di erba rielaborata. L’ippopota, il mio grassoccio animale preferito che ho disponibile in svariati modelli di pelouche, in africa è uno dei maggiori pericoli per l’uomo.

Ho deciso di rivedere qualcuno dei miei pregiudizi partendo dalle basi ecco.

 

 

 

 

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comunque il cigno maschio nel mio immaginario è più bello.

Ho guardato black swan, quel film dove Natalie Portman pesa trenta chili e mezzo e verso la fine, quando le provano le misure per l’abito della prima del suo spettacolo, le sarte la trovano dimagrita e lei allora sorride. Quel film in cui lei deve fare il cigno buono e il cigno cattivo e però il suo maestro di balletto non è sicuro che possa essere anche un cigno cattivo perché non è seducente, anzi “non fa sesso” (esatto Natalie Portman non fa sesso, da qui l’oscar a miglior attrice). Quel film in cui la Portman si gratta sempre la schiena e poi salta fuori che le stanno spuntando cose dalla pelle come ne “la mosca”, quel film che c’è inquietudine perché  lei attraversa un sacco di porte prima di arrivare al sicuro in camera sua che non può e non deve essere chiusa a chiave.

Mi sono piaciute le musiche e basta. No, non lo riguarderei.

Quando ho guardato quel film avevo voglia di vedere un filmetto in realtà, qualcosa di leggero, di divertente, qualcosa che anche se non sai come inizia e come si svolge sai come finisce. Quel giorno li davano “nessuno mi può giudicare” con la Paola Cortellesi e Raoul Bova. Per dovere di cronaca…ho sempre preferito Raoul Bova a Tom Cruise, non parlo di doti di recitazione, parlo di me e le mie amiche tredicenni, se c’era da scambiarsi i poster di Cioè distribuivo sempre i Cruise per ottenere i Bova, e questo è. In nessuno mi può giudicare c’è la Paola Cortellesi, che è una di quelle che mi piace vedere nei film, che siccome le è morto il marito e la ha lasciata piena di debiti si mette a fare la escort per pagarli tutti e c’è sto Raoul Bova che si vede che è uno di quelli che non capirebbe se lei gli dicesse che fa l’escort e insomma c’è anche la storia d’amore che un po’ ritarda a partire.

Mi è piaciuto il sipario di vita dei piccoli quartieri, i piccoli spiragli sugli altri personaggi, Paola Cortellesi, la sensazione che le cose vanno bene anche se vanno male.

Non sarei onesta a fare un confronto così con due righe e senza analisi sui due film, supponendo che si possano confrontare i due film…son troppo diversi, se oggi però ci fosse un cioè con il poster della Paola e con il poster della Natalie probabilmente quello della Paola me lo appenderei nell’anta interna dell’ armadio che mio padre quando attaccavo le cose sui muri (o dietro la porta nella speranza che non si accorgesse…sì con le puntine) era bestemmia.

 

 

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giacché.

Non ho alcuna difficoltà ad ammettere che se si tratta di ordinare un numero maggiore di due caffè io non sono in grado. Sbaglio il punto di vista, mi metto nei panni di un barista che però si mette nei panni del cliente e quindi si da vita a un circolo infelice nel quale inevitabilmente ci sarà un esuberò di caffè o una carenza di caffè o il numero corretto di caffè e però almeno uno sarà sbagliato. Il cliente normale dice: due macchiati un ristretto un lungo. Kerika dice: 4 caffè di cui due macchiati caldi uno corto e uno lungo. E’ tutto sbagliato, il barista mi malguarda ed è mattina e così presto che nessuno dei due ha troppa voglia di indagare sul numero esatto di caffè e di macchie e poi ci si distrae un attimo e poi “avevo detto lungo…questo è corto” “dammi lo rifaccio” “no va bene lo bevo lo stesso”. Ho smesso di ordinare i caffè al banco tre anni fa, non cambio mai bar per il caffè alla mattina così sanno già cosa prendo e siamo a posto, la volta che ho voglia di cambiare caffè non lo prendo proprio per non stressarmi.

La mia barista oggi, mezz’ora fa, aveva le frittelle al banco che a Venezia il carnevale impazza, le dico che quasi quasi…mi dice che sono tanto buone…le dico che sono a dieta che ho preso tre chili…mi dice che è impossibile che sono magrissima…le dico che no che lei è magrissima e che io ho preso tre chili…mi dice che io sono più magra di lei. Iniziamo a sorridere tutte e due e ci diciamo grazie all’unisono e ce ne sbattiamo le palle dei nostri tre chili cadauna in eccesso perché ai nostri occhi siamo magre e siccome viviamo sul momento questo ci basta.

Pensavo che leggere autori contemporanei è bello, una volta ho letto un post di una mia amica , se lo leggete è bello e  di divertenza e mi piace che lei abbia le palle necessarie a cantargliele, tanta gente direbbe “ma ti pare che fo le pulci a uno scrittore famoso” beh si e comunque concordo anche sul post. Comunque…da quando ho letto quel post ho pensato che forse è bello che qualcuno si trovi delle opinioni sui suoi scritti diverse dalle stelline di anobii, era un po’ che la covavo devo ammettere, insomma fatalità mi è capitato di leggere roba contemporanea, quello di breathers che avevo anche recensionato e poi più recente “la gente che sta bene”. Io cammino davanti alla Marsilio tutte le mattine, ieri li ho visti dentro a lavorare che erano le otto e dentro alla marsilio,  da fuori, riesci a vedere pile e pile e pile di libri e io lo trovo bellissimo alla mattina e tutte le mattine. Ho scritto una mail a ambo questi autori per mandare il mio parere personale, il mio punto di vista, le mie emozioni. Il libro di Federico è molto molto bello si sappia  e mi ha scatenato cose ed è da leggere, così come quello di Scott anche se profondamente diverso.

Sto lavorando a una letterina da mandare a Chuck Palahniuk.

Palahniuk, una volta una persona ha letto il mio libro e mi ha scritto “a tratti ricordi palahniuk” e io ho sorriso, la cosa uno di palahniuk è che ogni volta che lo devo scrivere vado a googlarlo e poi lo copio incollo, si anche ora. La cosa due di palahniuk (anche ora) è che ho letto un suo libro (diary) scorsa settimana, un libro che mi si è incollato alle dita, che non riuscivo a smettere di pensarci quando non potevo leggere e che per forza di cose ho dovuto tirar l’alba per finirlo, mi era impossibile dormire in ogni caso al pensiero di Misty. Era la prima volta che leggevo palahniuk (control v).

Nel libro di palahniuk (sì sì) a un certo punto sparisce qualcosa, ok sparisce una stanza e la prima persona che va a definire la sparizione la chiama “triangolodellebermudata”, accade all’inizio, è stata l’unica cosa per la quale mi sono sentita vicina a palahniuk, adoro giocare con le parole, amo le parole.

Pensavo a Fante. Da quando ho interagito con degli editor la mia vita di lettrice è cambiata, cambiata in maniera irreversibile, credevo che sarebbe cambiata la mia vita di una che ogni tanto scrive e invece è cambiata la vita di quella che più spesso legge, oggi è tutto buffo. Ho trovato un giacché in un libro di Fante, anche nel mio libro c’è un giacché, io non scrivo giacché, non è una parola che mi appartiene, non la considero non la sento mia, non ho forse una padronanza adeguata dell’italiano per inserirla al meglio, mi ricorda il mio primo fidanzato, non so, non è mia, è del mio editor. Pensavo a Bandini, a Fante, a Mencken. Magari neppure Fante usava il giacché.

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cossa che ghe piaxe scriver sta fia. *

quando ero piccolina, più piccolina di tutti gli altri, ve lo ho detto in cento lingue che io sono una di quelle che ha fatto la primina, il mio giorno preferito era il lunedì, avevo la maestra unica, si chiama Cristina e fumava la sigaretta durante la ricreazione. Il lunedì mattina si faceva il tema in classe e io il lunedì mattina ero la prima ad alzarmi dal letto, anche se il mio papà del tempo faceva il pasticcere e la sua sveglia suonava alle 4 io ero lo stesso la prima.

La sveglia di quelli che fanno i pasticceri suona alle 4 se no voi non potete avere la colazione alle otto e non sto a farvi la spiega della brioche che chiede 12 ore di riposo prima di venir su.

Mi ricordo che la maestra Cristina ci dava tre temi – tre titoli – di solito uno era quello con un tema di storia, uno era quello con un tema di attualità, l’ultimo era un tema di fantasia. Mi prendevo sempre il terzo titolo e a prescindere, senza avere letto gli altri. La maestra Cristina dava un bel voto a chi aveva scritto il tema più bello e poi lo faceva leggere ad alta voce davanti a tutta la classe.

Quando ho letto il mio tema davanti a tutti per la prima volta ero imbarazzata, anche se lo sapevo a memoria quel tema li ogni tanto mi saltava una parola, quel tema era pieno di ironia e di battutine e di cose ridicole (avevo raccontato di una volta che sono stata a cortina con i miei ed era la mia prima volta), mi ricordo che mentre leggevo ero così presa dalla lettura che mi ero dimenticata di avere infilato tutta quella ironia e allora mi mettevo a ridere anche io.

Lo dico sempre che mi piace scrivere, mi piace anche disegnare, mi piace anche fare yoga, mi piaceva andare a cavallo. adoro stare sui rollerblade…ma scrivere.

La spensieratezza di quei lunedì mattina mi manca.

*quanto le piace scrivere a questa ragazza (cit. la maestra cristina)

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a che ora han detto i maya?

son qui che rifletto sul fatto che non c’è stato cambiamento, è stato un anno abbastanza uguale a tutti gli altri il 2011, e si ci sono stati i canyon, canyon di tristezza e canyon di felicità.

son qui che rifletto sul fatto che il mio medico di base è un gerontologo, sul fatto che ho attaccato a prendere un farmaco che prenderò per tutta la vita,  sul fatto che per pranzo mi sono ordinata petto di tacchino grigliato con il purè di patate.

desideravo un minimo di cambiamento, di variazione, di rinfrescare…boh.

la parte brutta, la parte dolorosa, arriva quando smetto di raccontarmi balle e sono quindi pronta ad ammettere che  petto di tacchino col purè l’ho scelto io, nessuno mi ha puntato una pistola alla tempia, devo anche ammettere che di fatto non c’erano le patate fatte col forno in quel menù, così come non c’era la carbonara, resta che avrei di sicuro potuto cambiare ristorante, oppure stare in questo e magari chiedere la pasta con le melanzane.

buoni propositi per il 2012 – non ingozzarti di petto di tacchino col purè se con un minimo di sforzo puoi avere il filetto e le patate fatte col forno.

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n.b.

Caro Natale Babbo, da qui in poi n.b., sono stata buona anche nel duemilaundici, è un fatto.  Una volta ho letto da qualche parte che “buono” e “cattivo” per chi legge, tu, non vogliono dire nulla e che il nostro cervello richiede un contesto se no non siamo capaci di capire le parole e siccome io ci tengo che tu capisca…

…a parte quella volta che ho finto di non essere in casa per non aprire a quella del terzo, a parte quella volta che ho sgridato il gatto e gli ho tenuto il muso tutto il giorno perché mi aveva tirato giù tutta la roba dallo stendino, a parte quella volta che ti ho chiesto della carne di renna, che ammetto non è stata una grande idea, a parte questi episodi sono stata buona.

potrai inoltre constatare con i tuoi bellissimi occhi che il pirla che parcheggia una auto in tre posti contemporaneamente, nel mio condominio, è ancora vivo e possiede tutti i denti, noterai che il vaso brutto che mi è stato regalato da quella zia è ancora intero…capisci quindi che sono stata buona.

Come ben sai, il venticinque è natale ma il ventidue è il mio compleanno, hai ben due occasioni per i miei desideri, capisci che sono buona anche a formularti le scadenze per i desideri? se era un’altra non ti ben trattava così.

1) ho già avuto un’influenza, ti spiace eliminarmi dalla lista di quelli che devono prendersi l’influenza?

2) desidero avere gli esami del sangue e delle pipi (la cacca non serve perché le donne non fanno la cacca) sempre in ordine.

3) desidero stare fisicamente in forma.

4) tutte le tre cose sopra anche per la mia famiglia e tutti i miei amici, vicini, lontani, gente mai vista…tutti, tutti in forze (si vede che sono appena uscita dall’influenza vero?)

5) desidero che il mio libro sia sempre disponibile nelle librerie, mi sono un po’ rotta il cazzo del fatto che non sia disponibile.

6) desidero che sorvoli sul fatto che ancora dico cazzo nelle tue letterine.

7) possiamo stoppare gli ordini di pigiami, ok se ricevo altri pigiami sono un po’ contenta ma possiamo anche smettere.

8) desidero un maggiordomo.

9) desidero libri, tanti libri, tieni a mente che un sacco di libri che io desidero non sono disponibili in libreria, sono ordinabili.

10)  anche i blue ray, si a piacere.

11) temo mi servirà un’antirughe, un kit completo possibilmente, ho visto che c’è uno che fa l’antirughe con dentro l’essenza di caviale, siccome il caviale mi fa schifo in qualsiasi forma (figurati se me lo spalmo in faccia) ecco quello lascialo perdere.

12) che il mio kit antirughe non sia testato sugli animali è importante, non deve essere testato sugli animali.

13) che mi vengano fatte altre proposte sullo stile di over che adesso non posso spiegare ma che spiegherò.

14) voglio mangiare ai castelli romani, voglio che la cosa mi venga organizzata dal mio maggiordomo (vedi desiderio 8).

15) desidero che i punti che accumulo (punti libreria, punti supermercato, punti carburanti e simili…) possano essere convertiti in euri alla bisogna.

16) desidero di non aver bisogno di convertirmi i punti in ogni caso.

17)

18) una cantina, o una cantina già piena o una cantina che segue il mio maggiordomo (vedi punto 8).

19) che il nido di api che c’è nel garage si distrugga da solo.

20) che il giorno di natale non si blocchi l’ascensore.

21) se proprio deve bloccarsi fa che non ci sia mio padre dentro.

22) una vacanza.

Noterai che non ti ho compilato il campo del regalo che vorrei numero 17 – non è una superstizione, è uno dei miei numeri fortunati e allora se mi viene in mente un bel regalo per quel numero li te lo dico se no fai tu a fantasia tua, va bene anche qualcosa di rosso, meglio arancione ma anche rosso.

Ti ringrazio per l’attenzione e resto in attesa di tua discesa a mezzo cappa fumaria (ti lascio il latte coi biscotti e la grappa).

erika.

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io, Kerika.

L’altro giorno, e ci tengo a precisare che quando dico l’altro giorno intendo un periodo variabile tra le ultime sei ore e gli ultimi venti anni, stavo pensando al nuovo libro di Zlatan Ibrahimovich “io, ibra” con ibra scritto tutto col font maiuscolo. Pensavo all’impatto natalizio di quel libro e pensavo, anche se di fatto non ho visto con i miei occhi, a quante pile metteranno di quel (l)ibra in entrata alla feltrinelli. Pensavo anche che lui mi piace da sempre, beh non da sempre sempre ma mi piace da quando era alla Juve, prima che la Juve andasse in b, avevo anche seguito la sua evoluzione personale in quella squadra e mi sono resa conto molto presto di quando lui aveva le palle ben gonfie di star li, prima degli scandali calciopoliani e varie. A distanza di qualche altro “l’altro giorno” ho trovato divertente anche accorgermi di quando ibra era stufo di stare all’inter che io sono una di quelle che magari non ha l’occhio svelto per vedere se è fuori gioco e però nota subito se a uno gli si stan gonfiando le palle.

La mia gatta nera, per dire,  si chiama Zlatan, quando la ho presa dal gattile mi pareva, così solo a guardarla,  che avessero una indole simile e mi pareva bello chiamarla così.

Una intro del libro di Ibra racconta che quando lui era bambino la mamma gli dava col mestolo di legno in testa.  Anche io, è accaduto anche a me da piccola, mestoli di legno e zoccoli, non zoccoli crocs, zoccoli quelli veri, sempre in legno. La mamma, la mia, aveva preso una specialistica nel lancio degli zoccoli.

Io, kerika,  sono nata a fine 1978, lui, Ibra, è nato a fine 1981, sono tre anni e in tre anni il mondo svolge una evoluzione ma, in questo caso, l’evoluzione non è di rilevanza ai fini del mestolo e dello zoccolo perché i programmi televisivi che hanno consigliato di abolire il mestolo di legno assorbi batteri in favore del mestolo di plastica siliconica si sono fatti avanti solo nell’ultimo quinquennio.

Ci tengo a rassicurare un po’ tutti che questi metodi io, kerika,  li trovavo divertenti, nessun vicino di casa ha mai chiamato l’enpa per difendere me o mio fratello e alla fine non ci siamo neanche mai fatti  male, se la mamma aveva la specialistica in lancio noi avevamo la specialistica in schivo e fuga. Il fatto importante  è che sia io sia mio fratello eravamo bambini sul difficile, e credo che se la mamma avesse conosciuto Ibrahimovic o anche la mia gatta a quel tempo, forse, invece che kerika e andrea,  lei ci avrebbe chiamati zlatan di nome di battesimo, a tutti e due.

Io e mio fratello dalla nascita ad oggi abbiamo sempre avuto i capelli rossi e le lentiggini per dire e fatalità tutti i film con i ragazzini fastidiosi vengono interpretati dai bambini con i capelli rossi e le lentiggini, insomma ci sarà un motivo.

Ai giorni di oggi e in alcuni posti probabilmente una buona soluzione sarebbe stata uno psicologo o quel farmaco che ti calma i bambini, in mal parata una camicia di forza…negli anni ottanta e dove abitavo io invece  si usava mestolo e zoccolo e anche di metterci in castigo di clausura.

ricordo che in un periodo della mia vita che andrò ad identificare come “l’altro giorno” avevo accumulato così tanti castighi di clausura che facendo due conti ho scoperto che sarei potuta tornare a uscire a 23 anni, ne avevo 16.

Sempre nella intro del libro si parla del tatuaggio che ha Ibra sul fianco “solo dio può giudicarmi” deve essere scritto tutto per esteso e forse ha usato almeno una maiuscola e questo credo sia uno dei maggiori vantaggi di essere alti un metro e novantacinque per un peso di novantacinque chili. Io, kerika, che dichiaro di essere alta 160cm che forse ho arrotondato per eccesso e che peso una cinquantina di chili che forse ho arrotondato per difetto,  il tatuaggio che ho sul fianco destro è un ideogramma cinese, alto sei centimetri, largo sei centimetri e che vuol dire cavallo ma se pronunciato nel modo sbagliato vuol dire mamma.

Quando lo ho fatto il tatuaggio, non ho pensato a una frase ad effetto come Ibra, ho pensato che era meglio se i miei non se ne accorgevano e che nel caso in cui se ne fossero accorti sarebbe stata loro premura rimuovermelo a unghiate (o anche scavandolo col mestolo di legno).

E niente, ripensando ai bei tempi andati sono qui che immagino  a che ridere se i miei mi avessero scoperto il tatuaggio e che ridere se il tatuaggio fosse stato “solo dio può giudicarmi” son qui che mi figuro la loro faccia.

 

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il rimedio al dolore è il dolore.

Sono stata in pronto soccorso qualche giorno fa, il motivo della mia visita al nuovo ospedale di Mestre non è rilevante ai fini di questo piccolo spazio di aria, vi basti sapere che io sto bene, io sto sempre molto bene.

Il pronto soccorso è  un posto interessante, sono una persona di mondo, ci sono stata spesso tra un passaggio e l’altro della mia vita ed è interessante scoprire che il pronto soccorso ogni volta mi mostra qualcosa di nuovo.

C’era una donna in sala di attesa, era una donna simile al centinaio di altre donne presenti nella sala di attesa, stanca, avvilita, seduta su una sedia scomoda.  Questa donna ha attirato la mia attenzione perché mi ha messo la mano su una spalla e ha iniziato ad urlare “due ore che siete qui e ancora non vi hanno detto niente…non è una vergogna?” io zitta e lei ha proseguito “è una vergogna…vergogna…vergogna” poi si è avvicinata la guardia giurata e l’ha zittita. La donna era li come accompagnatrice di un signore anziano che aveva da fare cose di ortopedia.

Le cose di ortopedia in un pronto soccorso sono quelle più lunghe da gestire, o forse solo nel nostro, resta il fatto che anche se uno ha un dolore lancinante a seguito di una frattura viene di sicuro preso in considerazione dopo rispetto a un paziente con presunti problemi neurologici o cardiaci o qualsiasi altra cosa diversa da un osso rotto. Diciamo che la linea guida è che per un osso rotto si muore più lentamente rispetto all’avere un cuoretto rotto.

Avevo iniziato anche a capirla quella donna, chi sa da quanto era li, chi sa quanta gente le è passata davanti, chi sa un sacco di altre cose. Poi lei ha preso di mira un’altra signora e ha riattaccato la tiritera, urlando e alzando le mani a gesticolare e indicando i medici e gli infermieri che attraversavano la zona ignari e assorti da altro. Da li in poi non ce l’ho fatta più a capirla e le ho detto “oh basta daghe un tajo” perché a parte esserci un sacco di persone a compagnia dei pazienti, nella sala di attesa c’erano anche i pazienti, i pazienti erano la metà esatta degli accompagnatori. Signore anziane claudicanti, una ragazza alla quale credo abbiano somministrato un farmaco sedativo, un uomo con un fortissimo mal di denti, una ragazza col ginocchio immobilizzato, un uomo che si abbracciava il gomito destro, un bambino con un cerotto in testa…avevano bisogno di silenzio e di calma e di tranquillità e di un medico certo, non di una testa di gran cazzo che sbraita al nulla. Avesse preso un dipendente della struttura a caso e gli avesse manifestato il disappunto sarebbe stato diverso ma lei arieggiava la bocca e la arieggiava nella direzione sbagliata.

In una piccola zona riservata del PS hanno montato una sorta di astanteria, per i pazienti che devono aspettare qualcosa e però hanno la barella e la flebo e allora li nascondono dagli altri. Io mi trovavo li e li è venuto a ripararsi anche l’uomo che si abbracciava il gomito, si è messo al telefono, dice di aver salvato suo figlio, dice che ha salvato il figlio e che però lui forse si è rotto il gomito. Chiude la telefonata e dentro alla stanza entra un bambino, credo avesse due o tre anni, era bellissimo, tutto vestito  di giallo e con una garza col sangue si teneva il mento. Era il famoso figlio salvato da quel padre, quando lo ho visto mi è dispiaciuto che buttasse sangue dal mento e ho immaginato gli avrebbero dato un paio di punti da bambini. Oltre al cucciolo è arrivata anche la mamma e lei si è seduta vicina al papà e hanno iniziato a raccontarsela, a un certo punto del racconto lui dice di aver visto un altro bambino dello stesso asilo del figlio li e che però quel bambino si è fatto male, il papà non è riuscito a salvarlo, ha indicato suo figlio e ha detto “gli è successo quello che ho impedito succedesse a lui”.

Ho iniziato a immaginare che diavolo era successo ai due bambini dello stesso asilo, che gioco stessero facendo, se si sono lanciati dalle altalene o varie, poi ho pensato all’uscita, che forse hanno attraversato senza dare la manina a papà, insomma ho iniziato a immaginare e poi ho smesso quasi subito perché ero li per altro, non per farmi i cazzi della gente.

Sono passate ore e una Kerika effe stanchissima era appoggiata al bancone del pronto soccorso davanti a dove un medico sarebbe dovuto venire a cercarmi, è il bancone della speranza quello, quando ti metti li è perché le visite son state fatte e se fosse successo qualcosa di grave già lo sapresti e sai che sei li che attendi che ti dicano puoi andare, o anche eventualmente puoi restare, l’importante è che qualcosa te la dicono…al bancone della speranza di solito si è in cinque o sei, eravamo in dieci, mi son guardata intorno ed è stata una frazione di secondo uno STOCK fortissimo, il rumore di un attimo e un dolore di quelli che non puoi sbagliarti all’altezza del petto. Avevo l’altro bambino al mio fianco, bellissimo, tutto vestito di verde, era in braccio a una mamma molto triste e molto preoccupata, all’altezza della caviglia aveva una serie di striature, qualcuna sembrava un’ematoma, qualcuna aveva il sangue, il suo piede era gonfio che non sembrava il suo, era zitto ed immobile, non piangeva, non faceva nulla.

Aveva infilato il piedino tra i raggi della bici del papà, o della mamma, non lo so, so che ho sentito male a vederlo così e so, che nonostante il male per lui e per altri e per tutti, se mi fosse stato possibile avrei voluto portarmi via un po’ del suo dolore che forse solo così avrei sentito meno male.

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i did it my way.

 

 

In quella fascia di età che comprende i 5 anni e qualcosa e i nove anni e qualcosa mi trovavo in una enorme scuola elementare del nordest.

Era una scuola strana la mia, già in passato avevo menzionato della brillante idea dei tre gradini di accesso e del fatto che quelli di prima non si si trovassero al primo piano, i denti da latte davanti infatti li ho lasciati tutti li e senza poter ricavare un franco dalla formica dei denti (si io ho la formica dei denti, non la fatina) perché non avevo il caduto come prova da lasciarle sotto al cuscino.

In quella scuola elementare ricordo che avevamo anche i bidelli (si chiamavano proprio bidelli) e che  le maestre, quando volevano manifestare un intento punitivo, non dicevano “ti do una nota sul diario” o “telefono a tua mamma” o “lo dico alla preside” o “tu non fai ricreazione”, queste erano le frasette di circostanza, quello che mi faceva davvero cagare addosso era quando mi dicevano “guarda che se non la smetti ti mando dal bidello”, l’immediata paralisi era garantita.

Il bidello aveva uno strano senso della vendetta  (ricordo di una bambina rientrata dalla pausa col bidello tutta ricoperta di bianco, le aveva fatto sbattere gli stracci della lavagna per mezz’ora) e aveva interiorizzato e stravolto la frase “colpirne uno per educarne cento” tramutandola in “li colpisco tutti e vediamo se almeno uno capisce qualcosa”, in particolare quando un bambino entrava in classe in ritardo già sapevamo che la ricreazione sarebbe partita cinque minuti dopo e finita cinque minuti prima.

Il bidello era anche  l’addetto alla consegna dei  ciclostilati in classe, il che mi ricorda che in quella fascia di anni li avevamo i ciclostilati, non le fotocopie e a me piaceva tanto l’odore.

Tutto questo odore di ciclostilati mi è venuto su perché stamattina in pulmetto c’era uno che pareva proprio il mio bidello, solo che il mio bidello quando io ero in quella fascia di età, sembrava gli restassero due ore di vita, quattro a farla grande, allora me lo facevo già col vestito di legno, vedi che il bidello è invece più stile benjamin button.

poi non ho molto da commentare sull’immagine qui sopra, i gattonzi si commentano da soli. Ci tengo però a precisare che non sono impagliati, sono così e basta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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e bon.

quando ero più giovane, sino a qualche anno fa,  andavo al bar e c’era il mio amico dietro al bancone e lui mi guardava bene in faccia e poi sulla base di una legenda da lui creata, studiando le mie espressioni facciali in mista con le rughe del giorno e il colorito della pelle, decideva se propinarmi

.) un succo ace addizionato con qualcosa

..) un superalcolico a fantasia

…) il suo drink rescue remedy (una sanata per tutte le cose, ti trasformi in memento tipo)

e mi sono ricordata questa cosa oggi, che sono arrivata alla  nuova gelateria che frequento  alle zattere trascinando il mio lungo muso per tutto il percorso.

Il gelataio che mi ha guardata bene bene,  e sulla base della sua personale legenda nata dallo studio delle mie espressioni facciali in mista con le rughe e il colorito del giorno ha annunciato: “alcolici non ghe ne go…te fasso un waffle con nutella, gelato alla nutella e panna montata”.

e bon.

 

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maybe this is not fair but…

Questa mattina camminavo in direzione porto più rincojonita del solito, reduce di una serata da femmine, un delizioso ristorante veneziano, qualche bicchiere di tocaj e tanta stanchezza vecchia.

Non è che io e le mie amiche di ieri sera usiamo parlare di sex & the city, lo troviamo fuori moda, non si parlava di sex and the city neppure quando era di moda parlarne e però ieri sera e che ci siamo guardate negli occhi ed eravamo vestite in un certo modo e forse ci siamo sentite anche un po’ invecchiate, beh ieri sera ci siamo dette che sembravamo una scena di sex and the city però a Venezia che è più raccolta di new york. Abbiamo impiegato dieci anni per sexandthecityzzarci per sentirci un pochetto in empatia con le protagoniste e, probabilmente, abbiamo impiegato una decina di anni per raggiungere un livello economico lavorativo stabile venti volte meno di quello manifestato dalle quattro protagoniste e però sufficiente a farci sentire economicamente e lavorativamente stabili come le protagoniste. Merito anche di Venezia che è più raccolta.

Questa mattina dicevo, camminavo per il porto, ho visto per terra un foglietto piegato in due, non era sporco, credo fosse caduto a qualcuno da molto poco, l’ho preso su e ho iniziato a leggerlo immobile sullo stradone coi binari del treno e la distesa di piccioni e le barche, e i trasportatori che davano giù di clacson e di urla  che se no non si coordina niente e io però lo stesso ho trovato un mio silenzio.

Il foglietto dello sconosciuto parla di amore, parla di cuoretti che sanno ascoltare, parla di dolore, di negazione, di sofferenze estreme, di nuovo di cuoretti, i cuoretti silenti. Parla di abbracci, di incontri, di aspettative.

Parla di un amore gratuito, un amore faticoso, un amore consapevole di un sacco di cose e che mi ha tolto il fiato per almeno due istanti.

Non c’è una firma,  non ci sono dettagli a parte un nome “Matteo” e  una data “7 marzo”, mi chiedo per quanto lo abbia tenuto addosso il foglietto, se si sia accorto di averlo perduto, se ne sentirà la mancanza. Lo sto per nascondere in un angolo del mio cassetto che la vita a volte è strana e non sai mai cosa e chi incontri e perché, lo tengo nel mio cassetto che mi par bello nel caso un giorno poterlo restituire.

 

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mi riconosci ho le scarpe piene di passi.

ricordo di un’automobile di quelle con un sacco di posti e io e un sacco di altre donne dentro a quella automobile e rap futuristico.

ricordo di mattine e la mia amica al pulmettobar che mi affiancava la coca cola, invece che l’acqua, al caffè doppio.

ricordo che mi sono arrabbiata un sacco di volte con chi avrei voluto non arrabbiarmi mai, con chi avrei voluto mi facesse da spalla per piagnucolare.

ricordo serate con vestitini a schiena scoperta, spiagge in notturna e la speranza che quello che usciva dallo scoglio fosse granchio (era topo), barche bagnate dell’umido aria e zanzare grandi e pesanti come cimici.

ricordo serate di a ore venti e ventidue “ho sonno dormo”.

ricordo i mille “ciao sono erika, ho bisogno di un favore”.

ricordo il marghera village.

ricordo di avere letto quattro libri e un sacco di altre cose sparse.

ricordo il delirio del film festival.

ricordo i croissants in cambio di un sorriso.

ricordo di aver monitorato le mie oscillazioni di peso.

ricordo di essermi ubriacata taaaaaaaantissimoooo a casa di un’amica.

ricordo il mio amico al pub che quelli che lui chiama i drink puttanata sono da stellina michelin.

ricordo (bestemmia) lucenzo. (a venezia DK è bestemmia checché se ne dica)

ricordo che sto aspettando notizie su un mio scritto.

ricordo che le persone che amo sono proprio tante e io ho il cuoretto pieno di battiti.

e poi niente, maggio settembre è stato il treno di una fermata, paura, ma dura solo dieci minuti.

 

 

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varie.

non sto neanche a perdere troppo tempo sul spiegare il perché e il percome sia stata così assente, il tutto è riassumibile in una parola “lavoro”.  Mi sentirò un pochetto meglio quando il resto del mondo giustificherà le assenze con la stessa identica parola ed io invece potrò dire “vietnam” (si vado in vietnam, ancora non ho prenotato ma so già che vado).

Questa mattina, mentre attraversavo il nuovissimo passaggio pedonale che hanno disegnato in piazzale roma, mi ha affiancata il cane della tabaccaia. Era tutto timido e discreto e detto tra noi non credo mi abbia riconosciuta, io a lui invece si, ho adeguato il mio passo al suo e lo ho aiutato ad attraversare la strada, la tabaccaia lo ha sgridato tantissimo perché a Venezia non ci sono auto ma in piazzale roma è pieno, in ogni caso o ci centravano insieme o niente e oggi è andata di niente.

Mi sono ricordata di qualche giorno fa che ho passato una giornata in barca, come prima cosa devo segnalare che io sono il genere di donna da non invitare in barca, non è il fatto che nuoto di merda, non è il fatto che una volta scesa dalla barca non riesco a risalire senza ausilio di una gru, non è neppure il fatto che lascio colare l’olio sul pavimento della barca così poi la gente ci mette il piede sopra, scivola, cade, sbatte la testa  e muore.  Non è il fatto che ho il monopolio assoluto della musica, non è il fatto che incapace di muovermi bene come a terra pesto tutti i piedi e do ginocchiate a tutti i coglioni che mi incrociano piedi e ginocchia. Non credo sia neppure il fatto che inizio a mangiare non appena salita a bordo, quando la barca è ancora legata in cantiere per capirci (è inevitabile, la barca fa appetito lo sanno tutti), però ci stiamo avvicinando, credo di non essere una donna da invitare in barca per il discorso di generosità, sabato ore 13,00 40° all’ombra e noi però eravamo al sole (in barca vicino alle bocche di porto del lido), tiro fuori splendida il mio sandwich con maionese, lattuga, pomodoro, prosciutto cotto e philadelphia, un secondo prima dentro alla borsa frigo era bello e profumato, un secondo dopo era tutto giallo post it per fortuna che avevo previsto  il secondo piatto, uno yogurt greco, un secondo prima bello fresco non appena aperto ha iniziato a pisciare acqua con dentro roba, boh… fermenti.  Credo sia questo, che sono generosa e voglio che tutti mangino del mio pranzo.

e comunque il discorso del cane era che in barca ho iniziato a immaginare a che bello sarebbe stato avere un cane in barca, ne ho visti tanti e mi han fatto voglia.

 

 

 

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camminare sotto muro.

Ho guardato un film prima, l’ultimo film dei fratelli Coen, quello della ragazzina che Matt Damon la sculaccia, la ragazzina che gli hanno ucciso il padre e allora lei per vendetta va ad ingaggiare  uno sceriffo federale dai metodi poco ortodossi perché la ragazzina si fida del sistema del far west di seconda metà ottocento e  non vuole che l’assassino di suo padre vada in carcere, lo vuole uccidere lei. Quel film dove Matt Damon la sculaccia insomma. Sono il dio dei riassunti dei film, lo so.

Oggi mi è successa una cosa strana, sono stata a pranzo coi miei ed era uno di quei pranzi evocativi, che si pensa a cose vecchie, passati nascosti in un angolo di cuore o in alcuni casi passati che hanno lasciato un segno indelebile sul fegato. Anche questo ci tenevo a dire, il fegato marcio ai veneziani, alle veneziane, mica sempre viene con l’alcool, a volte arriva per dei fatti che abbiamo fatto passare per la, quei fatti che mentre sei li che sbrocchi senti che ti sta uscendo un brufolo, quella è tutta roba che poi da sul fegato.

Dopo il pranzo con i miei siamo andati a vedere un luogo del nostro passato, non andavo li da vent’anni, anche i miei non è che fossero esattamente di casa. Come è ovvio quello che sentivo io era una immensa sensazione di piccolo, tutto quello che da fanciulletta mi pareva normale o addirittura grande oggi era piccolo. La mamma ha riconosciuto una donna e allora ci siam fermati a chiacchierare con questa donna e io mi sono ricordata che con lei giocavo a barbie, mi son ricordata che lei mi faceva compagnia quando i miei avevano la pasticceria, mi sono ricordata che cenavo a casa sua e…mi sono ricordata che per colpa mia le hanno ammazzato il cane.

Un pomeriggio di almeno venticinque anni fa stavo andando a casa della mia amica, avevo fatto la strada a piedi che la bicicletta la usavo solo se ero sola perché ero la più brava con la bicicletta e soprattutto da sola potevo immaginare che la bici fosse un cavallo, in compagnia no. Quando sono arrivata vicino a casa sua il suo cane mi è corso incontro e io lo giuro che ho urlato di stare fermo e lui però non si è fermato e io avevo visto la macchina che arrivava e volevo buttarmi in centro strada ma non ne ho avuto la forza, i miei mi hanno spiegato in tutte le lingue di camminare sottomuro che le auto sono pericolose e io così facevo, non ho avuto abbastanza coglioni da buttarmi in mezzo alla strada e non ho avuto abbastanza coglioni da andare a vedere il cane della mia amica che piangeva come non dimenticherò mai. Quella mia amica non mi ha più voluta con se perché diceva che era colpa mia.

Ho detto che non dimenticherò mai come piangeva quel cane, non lo dimenticherò mai ora, in questo istante, adesso mentre scrivo perché io lo avevo già dimenticato, non me ne ricordavo più, una delle giornate più tristi e sciagurate della mia vita di settenne sono state completamente rimosse, mi sono ricordata solo oggi e solo quando ho visto che aveva un cane e simile a quello di un quarto di secolo fa.

Oggi non fa ridere e non mi ha fatto ridere neppure allora, ha fatto tanto male anzi, un male che forse ho buttato sul fegato, non voglio sforzarmi a ricordare cosa altro posso aver rimosso, ho realizzato di aver rimosso quello e mi è bastato per fare un piccolo esame su questa io.

 

 

 

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stavo ascoltando

ero a cena non più di qualche minuto fa, ieri il papà di un mio amico ci ha regalato una cassa di pomodori di cui il padre del mio amico in persona ha seguito inseminazione, nascita, crescita e poi morte, li sto usando e poco fa a cena ho mangiato una mia personalissima visione di pomodoro con roba varia in mezzo, la roba varia erano delle olive nere che ho snocciolato a mano e del formaggio feta e del basilico. Buonissimi.

Stavo in tavola ed ero da sola a mangiare e con la tv accesa e il telefonetto del lavoro che mi lanciava segnali luminosi di ricezione mail e sms. In televisione non so cosa ci fosse ma mi pare una serie e a un certo punto uno che pareva il protagonista diceva che noi siamo quello che eravamo al liceo. Son qui che scrivo questo post perché rimuginavo su questo pensiero del protagonista di questa serie ignota.

Al liceo prendevo la pillola, non perché avevo rapporti regolari ma perché la pillola curava altre cose, ci tengo ad informarvi che non si trattava di brufoli ma avevo delle cose che secondo la medica avrei curato con la pillola. Non so che pillole ci sono ora, spero siano migliorate perché oltre a curarmi quelle cose mi davano degli effetti collaterali che per me erano di rilevanza, per dire ero grassa, non cento chili ma avevo dieci chili in più rispetto a quello che sono ora e per la mia altezza dieci chili sono tanti. Facevo i sogni brutti, non erano sogni era come se avessi delle proiezioni e quando mi svegliavo stavo malissimo ed era sempre la pillola, poi una volta ho fatto gli esami che dovevo fare ogni tot mesi e mi hanno trovato il sangue che si coagulava ed era sempre la pillola, lo so che avrei potuto cambiar pillola ma alla fine l’ho smessa appena dopo il liceo, l’ho smessa per non prenderne mai più una, mi sono tornati i problemi ma sono nulla paragonati ai collaterali della pillola.

Un anno sono stata rappresentante di classe, lo sarei stata per tre ma alla prima elezione avevo paura e ho rifiutato e alla terza mi ero già rotta i coglioni che bastava e ho rifiutato.

Al liceo avevo la media dell’otto e però in condotta avevo il dannato sette e in matematica il dannato quattro, avere la media dell’otto con il quattro in matematica voleva dire prendere dieci in un sacco di altri compiti. Avevo sette in condotta perché svangavo le palle a tutti, ero lacerante, fastidiosa a tratti aggressiva.

Al liceo andavo a scuola col pulmetto.

Al liceo alle nove  ero con le patatine e la coca cola, both del distributore.

Al liceo il mio compagno di banco era un mio complice assoluto in tutto e per tutte le cose.

Al liceo facevo manca solo quando non c’era interrogazione o compito perché ero responsabile.

Una volta mentre ero a scuola mi sono venuti a prendere con l’ambulanza perché mi sono intossicata con dell’insalata russa.

Falsificavo le firme perché così i miei non si scocciavano a firmar robe.

Una volta sono scappata da scuola da una finestra in orario di lezione.

Alcune mie compagne mi volevano molto bene, altre molto male non c’era via di mezzo, alcune mi conoscevano e però io no.

A ginnastica ero fica nel salto in alto.

e niente, pensavo che di sicuro la cosa delle patatine e coca cola a ore nove am mi è rimasta e poi non so anche il pulmetto come mezzo assoluto e il compagno di banco e poi sul resto dovrò lavorarci.

 

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29 giugno 2010

quelle date che ti lasciano il cuore impressionato per sempre.

e.

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nervosismi.

Son tutta nervosa perché la gatta ha un nascondiglio nuovo che io non so. Certo si chiama nascondiglio perché è un puntino nascosto di casa di una trentina di centimetri dove in genere ci sono accatastate altre cose e lei ci si infila dentro se no si chiamava scopriglio se la trovavamo subito, sono tutta nervosa lo stesso.

Diciamo che il gatto, quando io faccio le cose in giro per casa, mi segue e si manifesta e fa in modo che gli presti attenzione anche se io sto facendo altro, per dire se sto camminando da zona notte a zona giorno che è un corridoio lungo, lui ogni tanto mi supera e si butta a terra sotto ai miei piedi fingendosi morto o svenuto, non so cosa finga. In genere a parte farlo nel corridoio e alle uscite degli angoli per rendermi le cose più complesse lo fa quando ho in mano pile di biancheria appena piegate (piegate e basta, non stiro dal 2002) o se ho in mano il vaso antico dell’artigiano unico modello disponibile in casa mia.  Sempre il gatto, se sono in bagno a fare qualsiasi cosa in bagno, che non includa l’apertura di un rubinetto di acqua, lui si mette li con me e mi guarda con gli occhi tutti pieni di accusa “perché ti fai la piastra quando potresti grattarmi la schiena?” tipo. Sempre il gatto, se sono sulla via per uscire di casa si mette davanti alla porta che così quando esco lo saluto e a posto.

La gatta no. La gatta ha una indole totalmente inversa.

lui: vuole essere guardato e visto e sentito e toccato e non esisterà nessun gatto al mondo oltre a lui, vietato anche commentare garfield o peggio le pubblicità sheba in tv, guai.

lei: se niente niente ti accorgi che è in zona e lei si accorge che ti sei accorto è la fine, non la vedi più per sei ore, ed è la punizione che secondo la gatta è adeguata per averla vista e guardata e aver detto “ah ma sei qui anche tu?” le ho detto solo così giuro.

Il gatto ha paura della sua coda, una volta di notte ci è entrato in casa un uccello che si era perso, è entrato perché ha visto la luce e però arrivava da fuori e allora quando è entrato e ha sbattuto sulla luce una due e tre e anche quattro volte (poi è svenuto, alla quarta è svenuto) ha fatto un sacco di rumore, poi figuriamoci di notte, se hitchcock avesse predisposto un monologo sarebbe stato quello. La gatta guardava l’uccello con la faccia da “ti ammazzo a te e alla famiglia” il gatto è sparito sotto il letto e non è uscito per due giorni, quando è uscito camminava  tutto circospetto  e col terrore negli occhi e aveva paura che gli entrasse un altro uccello in casa e si vedeva che non sapeva come affrontare quella situazione.

La gatta è curiosa, sempre in cerca di avventure, sempre in mezzo ai pericoli. La prima cosa che ha fatto quando è entrata in casa è stato nascondersi sui cavi della corrente elettrica, sale sul parapetto del terrazzo e abitiamo al 4°, infila le zampe nella tazza del water, l’ho trovata vicina al fornello acceso, dentro a un vaso di vetro, in mezzo ai calzini sporchi, sul bordo della vasca da bagno piena di acqua e bagno schiuma, ha ingoiato una ape intera, ha assaggiato il ragu e anche un sacco di altri avanzi di cibo che qualsiasi altro gatto avrebbe snobbato, sono quasi sicura di averla vista correre con delle forbici tra i denti. Soprattutto però so che anche se non si fa vedere lei è li che mi osserva e mi scruta e controlla tutti i miei movimenti anche se io non la vedo (non sempre e anche quando la vedo devo far finta di no) e allora sapere che ha un nascondiglio nuovo mi innervosisce perché io carico la lavatrice, faccio partire la lavatrice, mi guardo intorno vedo il gatto e chiamo la gatta e lei non viene neppure se sono in punto di morte, allora spengo la lavatrice, cerco la gatta, non la trovo perché ha il dannatissimo nuovo buco di trenta centimetri, allora apro il portellino dei biscotti e sento un tonfo da distante e compare la gatta, allora faccio partire la lavatrice…

tutto questo quando attacco la lavatrice, quando attacco il forno, quando devo chiudere le finestre (è rimasta più chiusa fuori che dentro), quando devo uscire, quando vado a letto…

Da qui il tonfo, il tonfo di quando apro il portellino dei biscotti, da quando uso questa tecnica ho la gatta che pesa come un pulmetto ma almeno so che neppure questa volta l’ho infilata in lavatrice.

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quante volte ho detto che amo questa voce? quante?

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colazione?

Qualche mattina fa ho allertato due mie amiche del fatto che sarei stata praticamente sotto casa loro per qualche oretta e ho inviato poi una non fraintendibile dichiarazione di intenti:

“colazione insieme?”

siccome io mi ero svegliata con le galline e loro no si è deciso che le avrei aspettate al baretto per qualche minuto, siccome mi ero svegliata con le galline, invece di entrare nel baretto sono entrata nella macelleria che ha la porta adiacente alla porta del baretto, siccome non si sentiva odore di caffè ma odore di gallina morta ho detto “buondì” e poi mi son buttata nel plateatico del baretto che non era confondibile con altri plateatici.

Ho preso un caffè sino a che le aspettavo, volevo prendere anche già la torta che questo baretto è fico per due cose, una per il plateatico e due perché oltre alle cose di pasticceria classiche hanno anche una produzione di torte fatte in casa (ciambella al cioccolato, torta di ricotta con scaglie di cioccolato, crostata di cioccolato, crostata di frutti di bosco, torta di mele, taaaaaanta roba) ho preso in quel momento solo un caffè.

Son li che aspetto e mi arriva uno, aveva in mano un cappuccino e una brioche e già penso che abbia sbagliato ordinazione, in un posto così è da caldeggiare la produzione propria non ci son cazzi, mi viene li e mi chiede se si può sedere con me. Io so che di mattina presto dire che aspettavo amiche pareva impossibile però io davvero aspettavo amiche e si avrei potuto dire di sedersi con me sino a che non arrivavano ma di mattina presto non è che mi diverta intrattenermi con sconosciuti che sbagliano colazione, è arrivato il titolare del bar alle mie spalle e fa “cossa voeo?” (cosa vuole) e io “sentarse co mi” (sedersi con me) e poi di nuovo io al tipo “aspetto amiche” e allora il tipo si è seduto non con me ma al tavolo a fianco e il proprietario del bar che rideva e io che speravo che le amiche arrivassero subito che se no mi pareva di aver raccontato una balla.

Comunque non ho raccontato una balla, le stavo aspettando davvero ma lui non poteva saperlo e allora ero li che speravo che si manifestassero mentre lui mangiava brioche.

Chiaro che le amiche sono arrivate dopo che lui è andato via, funziona sempre così.

Quando sono arrivate le amiche ho finalmente mangiato la ciambella al cioccolato e poi anche la torta con la ricotta e quattro caffè. Si quattro caffè, altro che eleuterococco. Oh ma che bene che siamo state. Ad ogni modo sono qui a raccontare di questa cosa di queste mie amiche perché si parlava con loro di questo blog che loro avevano scoperto per caso il secolo scorso cercando su google “insalata di patate americana” e che quando lo hanno aperto han capito subito che ero io (e io che pensavo che non mi avrebbe riconosciuta mai nessuno e invece come dice gioele dix chi mi conosce lo sa)…insomma si parla di questo blog e del vecchio blog e a loro questo nuovo blog piace tanto perché è bello e però il font non è proprio comodo (io lo so che il font non era comodo), una delle due mi dice “è bello sai ma…è bello, ma…è bello” perché lei è diplomatica, si è concluso che il font non era comodo dopo seicento “è bello” e un “è grande”.

E niente, non so se si nota ma ho cambiato font e non so se il blog sia più leggibile ora o meno leggibile, spero più leggibile, non dico a prova della nonna che è praticamente cieca ma un pochetto più leggibile si dai.

p.s.: telefonata di lavoro mentre sono al baretto

e: non sono in ufficio sono al bar al quartier san paolo e ho appena mangiato ciambella al cioccolato.

g: ah ho capito quale, ma non avevi detto che ti mettevi a dieta e che volevi perdere tre chili?

e: si ma poi mi hai detto che stavo bene grassoccia e allora ho lasciato stare.

g: …

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goodbye cortisone.

poco fa mi è stata fatta la puntura numero nove di nove, l’infermiera che in questi giorni mi veniva a casa tutti i giorni non voleva un compenso, dice che è una cosa che dovrebbero fornire le asl e che non lo fanno e che lei è comunque un’infermiera e che un sacco di infermiere lo fanno e lei però non vuole compenso, dice che abita a due passi da casa mia e che non c’è problema.

Le ho preso una focaccia di pasqua da pasticceria, per lei e suo marito e due confezioni di ovetti di pasticceria con l’orsetto di pelouche per i due suoi bambini, avevo paura che il kinder non lo mangiassero, spero tanto che sia stata contenta, quelle cose che mi sento in imbarazzo che preferirei uno mi dicesse “guarda fanno due euro per puntura” e poi le avrei regalato lo stesso quelle cose perché lei mi piaceva.

Sentivo un male di merda, soprattutto le ultime due mi hanno devastata, un pochetto che i buchi un giorno si e un giorno no andavano a finire li, un pochetto quel gran farmaco del cortisone che lo senti che ti attraversa la pelle e poi i tessuti eccome se lo senti. Lei però era dolce, mi chiedeva sempre di come mi sentivo e mi dava un sacco di consigli sensati, per me tutto è sensato che io non so guarirmi ed è un fatto.

e niente, ho da dimagrire quattro chili in nove giorni, considerando che al momento sono davanti a un monitor con un collare e che di sicuro nei prossimi nove giorni non potrò andare a correre ne fare sport, considerando che tanto per distrarmi ho fatto su le melanzane alla parmigiana, le lasagna al ragù, gli scampi alla buxera, il vitello tonnato, ho da preparare il carpaccio cipriani way che lo ho preso fresco, domani sono a pranzo dalla mamma che mi fa baccalà con polenta, per domani sera ho in previsione un barbeque di costicine di maiale e delle scaloppine di maiale in salsa agrodolce by parodina…fatte tutte queste premesse credo che l’unico modo per dimagrire quei quattro chili in nove giorni sia provando a raschiarmi l’eccesso con la mola.

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che ci vuoi far siamo fatti per amar.

son tornata dal medico di base oggi che, come da peggior aspettativa, mi ha diagnosticato che la cervicalgia è diventata cervicaldorsalgia.

In 4 minuti secchi, nonostante la mia attesa di due ore in compagnia di un magnum double chocolate  mezzo litro di acqua lilia e due marlboro lights fuori dallo studio, avevo tra le dita una ricetta a base di cortisonico per la durata di nove giorni, a milligrammaggio variabile tra i 4 e i due.

Si offre di farmi lui la puntura e gli dico che secondo me lui è uno di quelli con la mano pesante, lo dico ridendo ma son seria. Vado alla farmacia e mi passano il numero di una infermiera, dieci minuti dopo la ho in casa e vorrei fosse piccola e esile e invece no, è un’infermiera di quelle vere che le darei la vita in mano perché so che potrebbe sostenermela, in fatto di punture come da aspettativa è pesante, avevo le orecchie tutte buttate indietro.

prevedo di gonfiarmi in malo modo a stretto giro.

e poi il mio medico era tutto stupito del fatto che io non sia in grado di farmi le punture da sola, mi ha detto “ma metti che una sera hai un mal di testa fortissimo, cosa fai? prendi e ti siringhi la coscia, è la via migliore, io sono per la risoluzione e la risoluzione immediata, abbiamo dieci giorni da vivere perché passarne uno a soffrire?”

poi metti che una sera uno mi spara e io non son capace di sfilarmi il proiettile con i denti…cazzo se son problemi.

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forever young.

è il compleanno della mia amica di maiale oggi. Le auguro come prima cosa di passare un compleanno favoloso. Qualche giorno fa c’è stato il compleanno di un’altra mia amica, come quella di maiale è anche questa un’amica di cuoretto.

C’è la mia strana memoria per i compleanni, non so come e non so perché ma se mi si chiede “quando compie gli anni la mamma?” io così su due piedi non lo so dire, su due piedi so dire appena appena il mio e con fatica. Poi qualche giorno prima del compleanno della mamma, o di altri che ho a cuoretto, succede qualcosa, il mio cervello inizia ad evocare, parte tutto dal rinencefalo credo perché inizio a sentire odori che non sono presenti in quel momento, sento odori e mi ricordo a cosa mi portano quegli odori e quegli odori poi arrivano al mio stomaco che è sempre aperto alle iniziative del mio rinencefalo. Ricordo l’odore e mi viene in mente in quale periodo dell’anno lo colloco, al compleanno della mamma (o della mia amica di cuoretto). Ad esempio un paio di giorni fa mi è venuto su un odore e poi quell’odore mi ha fatto ricordare un cappello e un vestitino e che erano il cappello e il vestitino della mia amica di maiale. Io allora ho tirato un porco, ho pensato “non sarò mica così stronza da essermi dimenticata il suo compleanno?” no. E’ successo un paio di giorni fa che il mio rinencefalo lavora per tempo. Per la mia amica di cuoretto  di scorsi giorni l’immagine che mi è salita era di lei che mi cucinava la pizza con lo stracchino a casa mia…ok era la pizza con lo stracchino in principio.

Funziona solo con persone con le quali ho trascorsi di momenti, con le quali ho condiviso, bevuto, mangiato, respirato, chiacchierato ed è bello, così bello che potrei smettere la moleskine.

amica di maiale per dover di cronaca lo espongo – le due che hanno afferrato lo stesso cappello col maiale ricamato in testa in un freddo novembre al mercato all’aperto di milano eravamo io e lei.

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funziona così.

il mio libretto sanitario cartaceo è scaduto alla volta del gennaio 2008, pace all’anima sua. Da gennaio 2008 a oggi in fatto di malattia me la sono cavata alla va la che va bene, le influenze me le mettevo come ferie che tanto in australia non avevo in programma di andarci, le cose gravi me le son curate a pronto soccorso, le cose medie me le son curate prendendo l’esatta metà di quello che avrebbe preso mio fratello per lo stesso male (vedi alla voce antipiretico) mio fratello pesa quasi il doppio di me in periodi in cui entrambi siamo in forma e pesa forse un po’ più di due kerike quando io sono ammalata. Tutto quadra.

Martedì scorso in ufficio, non oggi, quello scorso, i miei colleghi tutti che ridevano perché avevo male al collo, mi hanno fatto un piccolo poster di me col busto di robocop e giù ridi, ridevo anche io, minchia che ridere, un pochetto a ridere sentivo male ma che ridere.

Venerdì ho abbandonato lo stesso ufficio in lacrime, un male di merda.

Alla volta di domenica, quando ho cannato qualche risposta del mio esame di anatomia, in parte a causa di abuso di oki nelle ore di studio, ho deciso che era ora di libretto sanitario e di medico di base nuovo e che sarei riuscita a raggiungere l’ufficio il lunedì solo con l’ausilio di una barella e due paramedici.

Che faccia quello dell’asl “questo libretto è scaduto” e io li distrutta con un chilometro di sciarpa avvolto tra collo e busto “lo so son venuta apposta” e quello imperterrito dietro al vetro “ma come ha fatto dal 2008 a oggi?” gli ho messo sul banco la mano destra sbattendola piano “sono una donna fortunata però ora mi serve un medico”

Non gli ho chiesto se sapeva chi era quello bravo, non gli ho chiesto se aveva da consigliarmi, gli ho detto di darmi il primo medico dell’elenco a un raggio massimo di 5 minuti da dove mi trovavo io in quel momento e che fosse aperto in quell’esatto momento e per i 5 minuti successivi.

Un’ora dopo mi è stata diagnosticata una cervicalgia bilaterale acuta. Questa cervicalgia bilaterale acuta che per comodità io chiamo “un dolore di merda” è il motivo per cui scrivo a computer tenendolo abbracciato al lato sinistro su un bilico di libri e riviste, il dolore di merda è il motivo per cui scrivo solo con l’indice della mano sinistra e sto impiegando più di mio nonno quando faceva i numeri di cellulare col telefono con la rotella. Il dolore di merda è il motivo per cui quest’anno non riuscirò ad affrontare il vinitaly, non sono in grado di reclinare il capo indietro per bere, degustare un Bolgheri con la cannuccia è da stronzi, non se ne parla.

La vita è così, funziona così, un momento sei che fai saltare le piastrelle col pensiero e il momento dopo hai bisogno di assistenza per farti il bidè,  puoi bere solo succhiando con la cannuccia e il tuo nuovo medico di base è specializzato in gerontologia.

 

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prossimi programmi e romantichezze.

Venezia questa mattina era tempestata di palloncini di colore bianco e rosso a forma di cuoretto, all’inizio ho visto solo quelli. Più mi avvicinavo al mio ufficio più aumentava il numero dei palloncini e hanno iniziato a far da comparsa dei boccioli di rosa. Poi si sono palesate delle cartoline a fondo bianco con disegnata la rosa e una scritta in nero a font ghirigorato, uno che chiedeva perdono a una ragazza.

Non ho neppure fatto in tempo a lasciarmi travolgere dalla romanticheria che ho subito pensato a che cazzo avrà mai combinato quello la per chiedere perdono in quella  maniera.  A me non è mai successo che un uomo mi abbia chiesto perdono così, mai. Non mi è neppure mai successo che un uomo abbia spruzzato il mio nome con la bomboletta spray su un guardrail.  Non mi è neppure mai successo che un uomo si sia appostato al mio balcone tutta la notte e non è mai successo che un uomo mi salvasse da una torre segreta di un castello.

E’ perché hanno capito che fondamentalmente non mi interessa, il capitano ha capito che la cosa più sensata da fare con me è i portarmi a mangiare pesce vivo o mucca cruda, i miei passato pure han capito che del bacio perugina non mi interessava un gran cazzo del biglietto e che mi interessava il cioccolato e la puntona di nocciola o del cioccolato o in ogni caso cibo.  I miei fornitori han capito che un campione assaggio vale più di cento riunioni coi commerciali. Mangiare pane e salame è meno romantico di caviale e champagne ma è la mia combinazione vincente.

In questo periodo dell’anno, come sempre, stringo il bigliotto per il vinitaly, seguirà mia foto nel sacro abbraccio con la mucca di plastica del locale dove andrò a procacciarmi del nutrimento solido per il mio stomaco all’uscita del vinitaly.  La foto che ci facciamo io e la mucca di plastica ogni anno da tre anni a questa parte è comunque un pochetto romantica.

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oggi

oggi “il tuo posto nel mondo” smetterà di essere solo per me e un paio di altri, oggi sarà nelle librerie e per tutti.

è strano oggi, lo strano positivo, come quando hai un bel segreto nel cuore e poi lo racconti a tutti.

 

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amore è non dover mai dire “mi dispiace”.

Sveglia alle cinque e cinquanta per poi alzarmi davvero alle sei e trenta, lo squillo del demonio in loop a distanza di cinque minuti per noooooove luuuuunghiiiiissiiiimeeeeeee voooolte la vicina e quella del terzo ringraziano. Desidero svegliarmi naturalmente.

Trentasei enormi cose da fare e una sola kerika a farle, tutte le trentasei cose vanno svolte nell’arco delle ore di veglia, il mio capo che già pensa “beh l’importante è che il tutto si svolga entro le ore 24 di oggi” i miei amici che pensano “ora mi chiama, ora mi scrive ora mi dice che è viva e che ora tocca a me” i gatti che pensano “ora torna a casa, ora mi da le pappe, avesse trovato il superemme chiuso resta aperta la via per i biscotti” il mio amore che pensa “mi hai abbandonato cazzo” mio padre che pensa “avrà di meglio da fare che andare a trovare un vecchio” la mamma che pensa “non mi ha mai chiamata oggi” il mio insegnante yoga che pensa “aveva detto che oggi veniva”.

Le trentasei cose fatte in queste ore di veglia le ho fatte bene, le ho fatte molto bene. Tra le varie ho parlato tantissimo al telefono, sono riuscita ad esprimere dei grazie che hanno emozionato chi volevo ringraziare, sono riuscita a far contento un milionario, ho dato contributi rilevanti per il lavoro di terzi, le ho fatte bene.

Sto male per tutto quello che non ho assolto, per tutto quello che non ho potuto delegare e che non potevo delegare e che non volevo delegare, tutto quello che sta due paragrafi sopra non è delegabile, il mio amore, mio padre, i miei gatti, il mio percorso yoga, i miei amici. Tutto quello che chiamo MIO non è delegabile, è mio. Me ne voglio occupare io e quando capita così, quando capita che trascuro il mio, mi spiace per le promesse non mantenute, per le chiacchiere non fatte, per i caffè mai presi. Mi spiace onestamente, dall’altro lato ancora di più mi dispiace realizzare che ho mancato del mio per seguire di altro, altro mio, anche il mio lavoro è mio, anche il parlare al telefono è mio, anche tutte le altre trentasei cose sono mie.

E’ così in genere che mi trovo in bilico, indecisa su da che parte del fossato saltare, è così che mi trovo divisa, a litigare con me stessa, è così in genere che mi trovo con addosso un malessere enorme, quando vorrei esser più di così e non riesco a far più di così e poi non voglio mai giustificare e non voglio mai motivare i miei ritardi le mie non presenze, non voglio mai dover spiegare, è inutile, deleterio, addirittura lesivo per una persona e non vi dico per i gatti che non c’è proprio un gran cazzo da giustificarsi, esiste solo che io non ero li, ero a fare altro.

Avete mai spiegato a un gatto che eravate a fare altro? lesivo,  deleterio e autolesionistico, ecco.

 

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1, 2,3

La cosa uno è che il ginocchio mi sta sui coglioni. Non lo sopporto, lui mi regge mai io non lo reggo, è l’articolazione più complessa del fottutissimo corpo umano e non fa un cazzo di niente, non niente niente perché in effetti flette, in effetti trasmette al piede ordini provenienti dal bacino ma a livello di puro e semplice movimento il ginocchio fa poco niente, se per ipotesi un bambino guarda un ginocchio il bambino capisce solo che il ginocchio flette ed estende (ci sarebbe una microrotazione nel mentre della estensione ma è talmente micro che il bambino non se ne accorge e così anche io) e però è l’articolazione più complessa del corpo umano. La spalla invece che fa millemilacose è meno complessa. Questa cosa uno ha un sacco a che vedere con l’esame che ho da sostenere a stretto giro.

La cosa due. La cosa due è che in questo strano periodo della mia vita ho il gatto da portare dal veterinario ogni settimana, la tendinite persiste. La cosa due è anche che abbiamo avuto la grandiosa idea di eliminare lo spatolato veneziano dai muri della sala con le nostre manine io e il capitano, abbiamo capito subito perché i professionisti chiedono migliaia di euro per fare quel lavoro. Sempre nella cosa due abbiamo avuto un lutto in famiglia, quei lutti che sei li che te li aspetti da un momento all’altro e poi quando arrivano sul serio sei solo un pochetto preparato. Nella cosa due hanno cambiato terapista a mio padre, è stato un piccolo enorme dramma e io e mio fratello abbiamo convenuto che se prima c’era qualche speranza ora proprio no. Nella cosa due una persona cara è uscita dalla mia vita, non ha sbattuto la porta la ha accompagnata ma in ogni caso la ha chiusa. Nella cosa due la sera del compleanno della mamma le ho dato una copia del mio libro che ho ricevuto in anteprima dall’editore e la mamma me la ha data in testa di spigolo, già la conoscete la mamma non serve che vi spieghi, lo ha preso in mano, non ha avuto un secondo uno di esitazione e me lo ha dato in testa (n.d.erika: 408 pagine di spigolo in testa) perché le avevo detto che usciva il 23 e il suo compleanno batteva 14, la cosa due è che eviterò di fare sorprese alla mamma. Nella cosa due quando mio padre ha visto lo stesso libro stava passando un neuropsicologo che conosce bene mio padre e mio padre gli ha messo in mano il libro (al neuropsicologo) e poi mio padre ha iniziato a piangere commosso e il neuropsicologo lo ha ripreso e gli diceva “eh noooo” e io allora mi son messa in mezzo “si si” gli ho detto “una reazione così va benissimo” una volta gli spiego della reazione della mamma prima che il neuropsicologo mi denunci per voler far piangere un paziente. Nella cosa due ho passato dei giorni di merda insomma e anche dei giorni bellissimi. Sono stata al mare, c’era un sole diddio, era li per me. Nella cosa due ho fatto le cotolette impanate col pure di patate della vita, nella cosa due ho preparato delle polpette che il capitano ne ha mangiate 14. Nella cosa due un giorno per sbaglio mentre lavavo i piatti avevo studio aperto in sottofondo e mi sono messa a piangere per un servizio, nella cosa due ho un periodo premestruale che non passa mai.

La cosa tre, sto aspettando la cosa tre.

 

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notizie semifresche.

e niente

(già quando attacco con “e niente” vuol dir che c’è qualcosa)

mi sento in imbarazzo lieve, la sorta di emozione che provavo quando scrivevo i miei primi post su blog e poi sapevo che qualcuno per la prima volta leggeva cose mie (maestra e professori a parte).

mi sento così, mi sento strana.

Il primo capitolo del libro è on line e io mi sento strana.

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dati tecnici e voci di corridoio e mali di testa.

a: quale è il gatto che ha male?

e: quello con la fascia rosa

a: non potevi dirmi il colore del gatto?

no.

perché ho paura che si sentano discriminati se li identifico per colore o per altre cose che si notano al primo sguardo, ad esempio “il gatto con la coda storta” “il gatto che sembra una cipollina” “il gatto con la cravatta” ho paura che si sentano in difetto.

Ieri e anche sabato ho subito craniosacrale e non starò a fare un nuovo lunghissimo trattato sull’argomento, nonostante l’argomento mi sia caro non starò ad enunciare tutte le cose, nonostante la craniosacrale di ieri fosse mirata a liberare le vie dell’espressione io non dirò molto. Dirò solo che mi son messa a piangere. Non a piangere come un vitello ma a piagnucolare piuttosto, mi sono schiacciata il naso perché mi vergognavo e perché volevo contenermi anche, è stupido ed è assurdo e non sarei ne la prima ne l’ultima che lacrima addosso a un terapista ma io non volevo.  Una situazione che mi puzza di vecchio, una mia ricorrente, non voglio mai far vedere fragilità e debolezza o spiragli di una me indifesa, soprattutto a chi mi ha a cuoretto, soprattutto a chi ho io nel cuoretto, per non deludere, per non ferire, per non far impensierire o incupire le persone. Son capace di piangere come un vitello nel mio letto, al corso yoga, camminando per strada, in pulmetto, quasi ovunque e non voglio piangere mai davanti a chi mi è caro. Non voglio piangere più, non voglio piangere nella craniosacrale in particolar modo perché a parte la mia premessa sulle lacrime allo stato attuale non riesco a spiegarmi il pianto oppure riesco ma mi racconto un milione di balle per infossare il motivo del pianto. Come in quel periodo che mi pareva di stare daddio e però sognavo di merda. La cs di ieri mi ha spolverato via qualche stronzata, la cs di ieri è stata un’onda, ha slivellato la mia emotività e se non stavo attenta oltre alle lacrime usciva un sacco di male, un sacco di merda.

Questa mattina mi hanno fatto ricordare del mio periodo di montagna, di quando andavo ad Asiago, di quando facevo finta di andare a funghi e di quando c’è stato un casino coi nonni, che i nonni avevano delle regole guida fondamentali per i nipoti che soggiornavano con loro in estate, regole che suonavano come:

– mai far preoccupare i nonni se no vai a casa

– mangiare tutto e a tutti i tre pasti principali più merenda a metà pomeriggio col gelato biscotto

– fare cacca almeno una volta al giorno se no sei da clistere

– mai dire alla nonna che hai fatto cacca se non è vero e dimostrabile

– non fare tardi se no i nonni si preoccupano e vai a casa per non aver rispettato la uno

– non uscire con la pioggia o col maltempo

– non arrivare a casa sporchi o bagnati o inzuppati

– non ammalarsi e non farsi male se no i nonni si preoccupano e vai a casa per non aver rispettato la uno

Io quella volta ero uscita che era strano il cielo, non pioveva ma le montagne erano scure scure e c’era un vento di merda, era così forte che non piaceva neppure a me. Sono andata al maneggio e non mi hanno lasciata montare perché i cavalli si innervosivano a vedere cartelli stradali che gli volavano sopra la testa mentre loro lavoravano, ci hanno lasciato vedere che ferravano i cavalli nella stalla. Son rimasta dentro alla stalla coi miei amici, ha iniziato a piovere, a diluviare, e io non ho messo il naso fuori perché se no mi inzuppavo e poi dovevo tornare a casa dai miei, la pioggia è cessata in un’oretta, ero perfetta per un rientro asciutto asciutto a parte che per le scarpe, non ero bagnata, non ero uscita con il maltempo che il maltempo è arrivato dopo, non sono rientrata con il maltempo che il maltempo era cessato prima.

tutto bello.

a parte mio nonno. Mio nonno mi ha cercata in giro tutto il pomeriggio, credo si sia portato dietro un raffreddore per tre giorni poi. Non capisco come mai quella volta non mi avesse cercata nella stalla che era davvero l’unico posto buono dove cercarmi.

Non mi hanno mandata a casa ma hanno piantato su un casino di merda, hanno telefonato alla mamma, al papà, lo han detto ai vicini, non mi hanno messa in castigo e non usavano dar botte ma me ne hanno dette ben cinque.

Una volta poi, qualche tempo dopo sto fatto della stalla, stavo giocando su un campo e ho pestato del filo spinato, mi ha rotto le scarpe e mi si è infilato sul tallone, si lo so fa schifo ma anche male, era pieno di ruggine. Non volevo dare una nuova preoccupazione ai nonni, non volevo che mi mandassero a casa, non volevo deluderli, arrabbiarli, disperarli, non volevo nulla di tutto questo. Non ho detto nulla allora, ho aspettato che la ruggine mi lacerasse tutto quel giorno e tutta quella notte e per poi il giorno dopo privarmi dell’uso del piede. Non mi hanno mandata a casa neppure quella volta i nonni, neppure se ho rischiato di farli preoccupare di avere il tetano, perché mi amavano i nonni e mi amavano anche se ero cazzona, fragile, debole, non resistente ai chiodi, mi amavano anche se piangevo i nonni solo che io lo capivo sempre un pochetto dopo.

quasi dimenticavo, la casa editrice che ha seguito il mio caso usa preparare booktrailer, oggi ne ho visto uno e a me è tanto piaciuto, è questo enjoy.

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basta un poco di gourmet.

non voglio fare la parte di quella maniaca del gatto e di cosa fa il gatto e di cosa succede al gatto, però non mi piace neanche lasciare il punto interrogativo su come sta il gatto.

Il gatto sta meglio.

Ad essere onesta sta uguale a prima perché lui è uno di quelli solari e che ogni volta che si fa male (e si fa male perché è uno di quelli distratti, gatto che per prendere una pallina lascia la formina del cranio sul muro) fa finta di nulla, fa l’indifferente, perché se no ha paura che lo prendiamo in giro (e lo prendiamo in giro perché non puoi non scoppiare a ridere,  semplicemente non riesci e comunque ridiamo con lui, non di lui, a parte che lui non si capisce bene quando ride).

Gennaro pare stare meglio insomma. Lo deduco dal fatto che il diffusore elettrico che serve per inibirlo dal correre tutto il giorno non fa un cazzo di effetto.

Quello che volevo raccontare è di quanto sono diventata brava a dargli le pastigliette invece.

Sono il genio della somministrazione della pastiglia al gatto.  Si fa così:

– dovete avere un gatto come il mio, innocente e senza malizia.

– versarsi un po’ di pappa di gatto sulle dita

– chiamare il gatto con tono suadente “gennnaaaaaaarooo paaaapppeeeee”

– indorare la pastiglia nelle dita unte di pappe di gatto

– far finta di succhiarsi le dita

– far succhiare le dita al gatto con sopra la pastiglia

Vi giuro che ieri gli è addirittura caduta dalla bocca ma gliela devo aver fatta talmente buona la pastiglia con l’umido di pappa che se la è leccata dal pavimento.

 

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om

Oggi avevo il corso yoga, il corso quello di fichezza. Mi son svegliata presto come tutte le volte che è domenica e che ho il corso importante, una al mese.

Mi son calata in una doccia bollente che mi ha lasciato addosso traccia di odore di pastelli.

Mi son fatta un caffè. Ho fumato una sigaretta. Vi direi che ho fatto la cacca ma le donne non fanno la cacca quindi no.

Ho iniziato a preparare il borsone, ero li che mi piegavo i plaid (almeno due che se no durante il rilassamento ho freddo e non mi rilasso un gran cazzo), ho realizzato che non ci sarebbe stata neppure la metà di quello che volevo infilare in quel borsone, ho preso quello enorme, è arrivato il gatto e si è infilato dentro e poi ha chiamato la gatta.

Mi son fatta altri caffè.

Una volta fatti sparire i gatti che facevano solo finta di voler venire a yoga con me ho buttato dentro robe a casissimo, non ho dimenticato i cioccolatini.  Non dimenticherò mai i cioccolatini. Lindor con ripieno refrigerante, avete capito quali? ecco.

Mi sono messa via quei cioccolatini per giorni come questi.

Esco di casa, la borsa pesa millemila chili (cit.) mi chiedo se per caso sto dando un passaggio al gatto. Vado in direzione della pasticceria sotto casa.

A distanza di minuti dalla pasticceria ho quell’aroma di caffè addosso. Presente quale aroma di caffè?

Allungo la strada sino al parco, voglio attraversare il parco, non noto gli animali mi soffermo sulla pista, che ricordi di quella pista. Io sudata e con le vene gonfie si.

corso yoga.

Il mio insegnante, uno dei miei guru del momento, chiede se qualcuno desidera un mantra, io lo desidero ma non lo dico, decido che glielo dirò lunedì, domani. Lo desidero tantissimo, ne desidero due.

poi…

“lo yogi mira a diventare ciò che rappresenta”

io desidero essere un pochetto più acqua.

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quello che è tuo è mio quello che è mio è mio.

kerika: voglio un pianoforte.

capitano: ne prendiamo due che lo volevo anche io?

 

 

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tranne gli occhi.

Da tre giorni un mal di testa infernale mi da il tormento. Quasi quattro giorni a dire il vero. Ero tentata di calarmi un qualcosa per anestetizzarmi, qualcosa che mi facesse chiudere gli occhi per qualche minuto o qualche ora o magari qualche giorno, invece poi ho questo periodo di grazia, periodo che dura da due giorni, in questo periodo di grazia nonostante tutto, un tutto che non sto ad elencare ma è un tutto pesante ed opprimente e molto brutto a parte qualche boccata di aria fresca, sono felice. Il mio stato di grazia mi rende felice. A calarmi una pastiglia mi sentirei in colpa con me stessa e rovinerei il mio stato di grazia e starei ad accusarmi tutto il tempo e per non dire che forse il mio mal di testa è sintomo di qualcosa d’altro e a quel punto fare come ho fatto col dente che ho nascosto l’infezione sotto l’oki mi pare assurdo.

Sono la stessa donna che qualche mese fa piangeva davanti al banco della farmacia perché voleva qualsiasi cosa che non le facesse sentire il m_d_f, e quel qualsiasi cosa avrebbe anche potuto essere cancerogeno che comunque la priorità assoluta era risolvere il m_d_f. Anfatti mi han dato antibiotico che non è cancerogeno  e però io lo so quanto male mi fa l’antibiotico.

Ero in pulmetto oggi, sale un cane, lo noto subito perché mi piacciono i cani e mi metto ad osservare come si comportano in pulmetto, il cane era una cana ed era una cana guida, so anche il suo nome ma non lo dico per non ledere la sua privacy, so che apprezzerebbe. Una labrador bianca crema accompagna il suo preferito al posto davanti al mio. Lui le parla e la ringrazia per la scorta. Lui ha occhiali da sole e un berretto che gli copre testa e fronte e orecchie e nuca, sudo a guardarlo. Sale un ragazzo che io ho già visto, ha un lieve ritardo mentale, lo so perché lo conosco, ci vediamo sempre in pulmetto. Vede la cana ed ha la mia stessa reazione, la adora. Si siede a fianco alla cana e al non vedente ma in particolare alla cana, si fa lavare la faccia e poi dalle mani ai gomiti, io ho freddo a guardarlo che ha le maniche tirate su. Mi agito perché il piede del ragazzo è troppo vicino alla cana e siamo in pulmetto e lui è goffo ed enorme e lei è piccola e sdraiata per terra, ho paura che le faccia male per sbaglio.

Il ragazzo parla col non vedente, chiede il nome della cana e chiede se è buona e altre domande di circostanza e complimenti che si fanno ai cani.

Suona un telefono, è quello del non vedente, risponde a mezzo auricolare, parla pianissimo, è un sussurro il suo, mi chiedo se lo sento solo io. Il ragazzo al suo fianco non si accorge che è al telefono perché l’auricolare è sotto al berretto e perché lui parla piano e il ragazzo a gran voce che lo sente tutto il pulmetto chiede “scendi a milano?” e il non vedente che per forza di cose vien disturbato gli risponde di si ad alta voce “si a milano si” dice. Il ragazzo sta zitto un attimo e poi chiede “ma sei nato cieco o hai avuto un incidente?” di nuovo a gran voce, l’uomo non risponde e secondo me ha sentito anche questa solo che si è rotto i coglioni, è ancora al telefono,  è ancora al telefono che parla piano. Il ragazzo non realizza allora ripete di nuovo e di nuovo e di nuovo e di nuovo.

L’uomo continua a parlare a bassa voce. Il ragazzo non realizza, abbandona e si infila gli auricolari e fa partire l’ipod, la sua musica arriva sin da me.

Io sto per scendere.

Quello che si alza per farmi uscire dal pulmetto nota che il non vedente parla, ha alzato il tono di pochissimo, è perché siamo alla fermata centrale e tutti si sono fatti avanti e c’è più rumore. Quello che mi fa passare si avvicina al non vedente, gli appoggia la mano su un braccio e gli dice “il ragazzo non ti sente, si è messo le cuffie”, il non vedente ribatte “guarda che io sto parlando al telefono”

io gli avrei risposto “non vedi che sto parlando al telefono?”
gli avrei risposto così e lo so che è da stronzi perché il signore che mi ha fatta passare era in buona fede, non aveva capito che lui era al telefono, lo so che è da stronzi, lo so, però cazzo come si fa a prestare attenzione a una persona e al contempo non prestare attenzione a una persona, non è possibile è tutta superficialità niente di vero.

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thanks.

Ho avuto una sessione yoga fichissima, così fichissima che sono riuscita a visualizzare un eeeeenoooormeeee punto arancione nel mezzo della mia fronte. Chiaro che per visualizzarlo prima te lo inventi ma non è quello il punto, il punto è che dopo averlo inventato lo ho visto davvero.

Ho inventato il puntino, lo ho immaginato, lo ho immaginato così forte che mi pareva di vederlo ma, ancora non lo vedevo, dopo averlo immaginato a immagine e somiglianza di un puntino piccolo e arancione ho desiderato che comparisse e ho desiderato che comparisse nel centro della mia enorme fronte, insomma il puntino poi non era proprio un puntino ma più un puntone (la  mia fronte fa cinque dita e mezzo), desidera e immagina e immagina e visualizza e desidera e soprattutto stai qui e stai qui ora non devi pensare a nulla a parte che a quel puntino (e a respirare con la pancia ma vabbeh ero già di pancia), insomma il puntino lo ho visto. Ho anche fatto la controprova che è di tenere gli occhi a fessura invece che chiusi. Si come il buddha che ha gli occhi a fessura, sarà li a far controprove.

secondo me siete ancora che pensate alle cinque dita e mezzo della mia fronte.

La mia pagina dei desideri, è un parziale dei miei desideri perché dal giorno in cui ho capito che potevo desiderare e poi potevo aspettarmi di ricevere il desiderio, ho iniziato a desiderare e per mai fermarmi, la mia pagina dei desideri è però un piccolo metro, da quando ho questo blog (un mese) se ne sono avverati tre e due mezzi (se sono mezzi non li barro), se ne sono avverati molti di più solo che non c’è traccia, sono quelle cose che una desidera senza realizzare che sta desiderando, ad esempio la giornata del cioccolato non la ho desiderata e però quando si è presentata una giornata del cioccolato ho capito che desideravo una giornata del cioccolato, oppure una volta che morivo di fame e mi è comparsa una brioche davanti agli occhi, mica lo avevo detto che volevo la brioche ma davvero mi si è palesata davanti agli occhi, mi è esplosa la lavatrice e me ne è arrivata una al piano praticamente il giorno dopo e coi programmi per delicati e tutte le ruote che girano.

Ieri ho rivisto una amica che mi ha presentato due persone, una la avevo già a cuoretto, volevo proprio vederla, l’altra non è che la ignorassi ma non ci avevo mai pensato, non avevo mai desiderato di conoscerla sino a che non la ho conosciuta e ho capito che desideravo conoscerla, una persona meravigliosa. La cosa tutta interessante è che questa persona mi conosceva già, per sentito dire dalla mia amica. Quelle cose che se le raccontassi alla mamma non mi crederebbe, per fortuna che la mamma era li anche lei così mi ci ha vista insieme.

tutte queste righe erano solo per dire grazie che di grazie non se ne dicono mai abbastanza.

in ordine di apparizione:

grazie per il giorno del cioccolato

grazie per il giorno dopo il giorno del cioccolato (che era quello della brioche)

grazie per il giorno.

grazie.

e.

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non voglio mai restare sola col mio superio.

scena 1. incontro di lavoro.

vestito molto bene, scarpe molto bene, agenda molto bene, capelli spettinati ma poteva andare peggio quindi capelli bene, trucco molto bene.

preparazione dell’argomento di riunione: cintura nera.

esposizione degli argomenti e carisma  impresso agli interlocutori: wow

Non è una cosa da applausi, certo che no, però la faccia con cui ti guardano le persone nel durante le riunioni e nel dopo le riunioni al momento dei saluti, quella faccia che significa “sei fastidiosa come una ciglia in un occhio erika però ti stimo per esser riuscita ad arrivarmi sin dentro alla cornea non è da tutti”. Lasciare la stanza e raccogliere le idee post incontro di lavoro.

scena 2. incontro.

biancheria intima mooooolto bene ma tanto lui non la nota, la biancheria intima è un mio feticcio, capelli spettinati e bagnati ma potrebbe andar meglio, potrebbero essere molto più spettinati, capelli bene, trucco molto bene.

preparazione dell’argomento di incontro: tendo ad andare a braccio.

esposizione degli argomenti e carisma impresso all’interlocutore: beh wow.

sigaretta post incontro: accesa.

La faccia con cui mi guardi durante l’incontro e subito dopo e i sorrisi per nulla, sorrisi solo perché siamo innamorati. sorrisi solo perché ci stiamo ricordando di un segreto di noi due. Lasciare il letto per andare ad accendermi la sigaretta, pensare che ti amo.

scena 3. me myself and I

la riunione è andata molto bene, si decisamente bene, è andata benone, i risultati che ho ottenuto sono degni di nota. Avevano tutti la faccia contenta.

Col mio amore è andata bene, due campi della mia vita vanno alla grande e poi sono in salute. stai a vedere che l’oroscopo di quest’anno ci ha preso.

ripercorrere con la mente le situazioni.

Forse quando ho detto quella cosa quello li ha alzato un sopracciglio, mi sa di si lo ha fatto. Quell’altro ha incrociato le braccia invece, mi è venuto in mente solo ora prima no. che strano.

Il mio amore era felice lo so, spe che gli chiedo se si ricorda di me di ieri. se anche a lui viene in mente ogni tanto.

Come mai quelli della riunione devono ancora formalizzare le mie richieste? come mai?

Come mai il mio amore non si fa vivo? cosa sta facendo? a cosa pensa? si è già dimenticato? non può dimenticarsi.

Forse la riunione non è andata così bene. Forse avevano la faccia di circostanza, forse mi hanno anche guardata tutta storta.

Forse per il mio amore era tutto regolare, nulla di speciale.

Sto immaginando ora che le cose non vadano bene o ho immaginato che andassero bene in quelle scene?.

A rimuginare troppo sulle cose si rovinano le emozioni di un istante o di due istanti o di dieci istanti.

Stai qui e ora.

 

 

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αγάπη

e questo è.

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vedo la gente morta.

Ho appena inviato una mail luuuuuunghissima, quelle mail che il destinatario le apre e gli rotolano i coglioni a terra. Il mio dono della sintesi si palesa solo ed esclusivamente quando mi incazzo, quando tutto quello che dico è “sei uno stronzo” chiaro e deciso e breve. Questa sera non sono incazzata infatti.

Pensavo a una cosa, come al solito non è una, sono “millemila” (cit.), come al solito non posso star qui tutta la notte.

Pensavo a quando succede qualcosa di estremamente bello o qualcosa di estremamente emozionante, o qualcosa di brutto, nei giorni di ciclo in cui non vedo al di la del mio naso in realtà basta che accada anche solo qualcosa, qualsiasi cosa.

Quando accadono delle cose così e come minimo mi prende un’emozione forte addosso, in positivo, farfalle nella pancia, tachicardia, tremore delle mani e globale, ginocchia che cedono sotto il peso dei cinquanta chili (scarsi di nuovo… già), pupille dilatate, rossore in faccia, o in negativo, tachicardia, pugno sulla bocca dello stomaco, rossore in faccia, tremore delle mani e globale, ginocchia che cedono…

Ciò che distingue il bello e il brutto è il sorriso o la mascella tesa in pratica, le emozioni mi scuotono quasi allo stesso modo nel bello e nel brutto e i sintomi e i segni sono quasi uguali anche se diversi.

Poi c’è il quando passa il treno.

Il quando passa il treno per me è il momento in cui ho già passato un momento estremamente bello o estremamente brutto e con tutte le emozioni del caso e però siccome quel momento è arrivato come un treno e io quando è arrivato quel treno ho fatto un saltino emozionata ora quando mi ricordo del treno faccio lo stesso saltino, come se il mio cervello non lo capisse che quel treno non è il treno che ho visto passare questa mattina, che quel treno è solo un ricordo. Il mio cervello non capisce, o una parte del mio cervello non capisce e allora io ogni tanto son qui che mi ricordo di accaduti e faccio un saltino come se le stessi vivendo in questo esatto momento, per la prima volta e ora.

e.

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e poi muori.

Ero tanto amica di una che non ricordo come si chiama ed eravamo tanto amiche anche perché mi piaceva molto suo fratello Alessio, eravamo amiche anche per quello, non solo per quello. Suo fratello Alessio era  più grande, faceva intorno agli undici anni, praticamente era come se avesse vissuto quasi due mie vite ai miei occhi. La sorella di Alessio andava a fare ginnastica artistica al pomeriggio e io no, io ogni tanto e se mi andava bene andavo a pattinare col papà oppure ogni tanto se mi andava bene andavo alla fattoria del vicino, oppure ogni tanto se mi andava male stavo chiusa in casa con qualche parente che aveva vinto il premio “fai da babysitter a kerika per un pomeriggio”. Per alcuni miei parenti ero insopportabile, sono gli stessi parenti per i quali sono ancora insopportabile. Gente che se non facevo i compiti chiamava la polizia e la polizia mi portava via per sempre e non avrei visto mai più la mamma e il papà e poi in carcere avrei preso i pidocchi e mi avrebbero fatto i capelli a zero e avrei preso un’infezione da un altro bambino che mi avrebbe certamente portata a una morte dolorosa “… … … ti prendi un’infezione e poi muori” e allora io zitta e buona e immobile e china sui compiti che avevo già fatto, via a far finta di fare i compiti che poi se no morivo.

Le prime volte.

Poi mi si è girato il cazzo.

Anche se ero una femminuccia la sensazione è la medesima di avere il cazzo tutto storto nelle mutande, mi sono consultata con i miei amici maschi ed è proprio il fastidio che avevo  io a sei anni con alcuni parenti a casa mia, oppure peggio se ero io a casa loro, a casa loro non potevo neppure portarmi il cane.

Ho iniziato col dire alla mamma che detestavo quando venivano quelli la a farmi da baby sitter, che piuttosto stavo da sola col cane (che poi quel cane li, il mio primo cane, era simpatico come voldemort e mansueto come un grizzli ma con i dentini più affilati, dopo tre giorni di convivenza mi ha morso in faccia e ha rischiato di masticare con le gengive tutta la vita) secondo lei però a sei anni (e poi anche a sette) ero troppo piccola per stare a casa da sola. Le ho spiegato che questi volevano sempre farmi fare i compiti e che volevano sempre che io stessi ferma e che non saltassi o che non mi muovessi o che facessi i mestieri (si i mestieri) e che se non volevo fare qualcosa come dicevano loro avevano sto vizio di merda di voler chiamare la polizia. Non ho detto merda con la mamma a sei anni comunque, se no partiva il lancio dello zoccolo o in alternativa lo schiaffo in testa, lo schiaffo quello leggero ma che rimani umiliata due orette.

Poi mi sono rivolta a papà che era quello che in genere faceva la parte del buono quando ero piccola, mamma=polso papà=pollo, niente, non ho risolto un cazzo neppure con lui, di stare a casa da sola col cane preso al pet sematary non se ne parlava.

Da piccola non pregavo, ero una di quelle che andava in chiesa perché se no poi non potevo andare a giocare ed ero una di quelle bambine fastidiose che recitavano a pappagallo tutto durante le funzioni, e quando dico tutto intendo che parlavo anche quando parlava il prete, sapevo a memoria anche le sue parti e ne andavo pure fiera e per un periodo mi son convinta che sarei stata un prete perfetto se a sei anni sapevo già tutte le cose che diceva a memoria. Quando avrei raggiunto la sua veneranda età, che il mio prete avrà avuto una ottantina di anni e comunque ora è sicuramente morto, sarei stata mille volte più brava di lui, avevo già imparato tutto. A parte che non pregavo chiaro. Non pregavo ma pensavo le cose fortissimo, stavo concentrata e iniziavo a pensare a quello che volevo e a quello che non volevo, lo facevo in continuazione, lo facevo nel letto prima di dormire, lo facevo mentre correvo con la bicicletta, lo facevo mentre facevo l’eco al prete, lo facevo quando stavo nel pulmetto della scuola, lo facevo sempre e in quel periodo pensavo “devo diventare amica dei poliziotti così quelle si mangiano una vasca di merda quando la polizia non mi mette in prigione”  o qualcosa così.

Una sera di estate, e in estate ero davvero snervata dalle sessioni di baby sitting perché in estate mi toccava subirli sin dal mattino presto, stavo nel giardino a giocare per gli affari miei, era il periodo di creamy quindi ero li a far “pampulu-pimpulu-parim-pampùmpimpulu-pampulu-parim-pampùm” e per poi ritrovarmi uguale identica a prima ma più delusa. Insomma quella sera si ferma davanti a casa nostra una pantera, non una pantera come il gatto, una pantera come l’automobile. E’ arrivata piano e dopo aver attraversato la piazzetta si è parcheggiata davanti al mio giardino. Io, che a prescindere dai parenti sgradevoli avevo a parer mio qualcosina da temere, come prima cosa sono andata a nascondermi dentro alla fontana con i rumatera (i rumatera sono pesci di cui non so il nome in italiano ma poi mi andrò a documentare). Mio padre è uscito di casa con un bel sorriso vivace ed è andato in direzione dei poliziotti, poi con la coda dell’occhio mi ha vista e ha tirato un porco, hmmm due o tre, e mi ha mandata in casa a lavarmi e cambiarmi.

Quando sono uscita di nuovo in giardino, pulita e profumata e vestita, ho visto i miei che chiacchieravano con sei poliziotti sul tavolo del giardino, avevano anche tagliato l’anguria e poi c’era anche un’altra pantera davanti al giardino. I poliziotti avevano le pistole addosso e avevano anche le radio e io soprattutto ricordo che quando si attivava la radio come prima cosa non capivo un cazzo di quello che diceva la radio e poi facevo un saltino perché aveva il volume alto alto. Insomma i miei chiacchieravano e tranquilli con i poliziotti, mi è balenato per la testa il pensiero che volessero farmi rinchiudere ma mi è passato quando ho visto che i miei erano felici di vedermi.

Ho studiato la situazione da distante per un pochetto, non riuscivo a giocare a creamy ed ero anche un po’ in imbarazzo perché sentivo che ogni tanto parlavano di me, allora facevo finta di potare le piante. Mi sono avvicinata con calma, ho preso un pezzo di anguria, per essere precisi ho preso il pezzo sopra di una fetta e basta, tanto per sentire mio papà che tirava di nuovo giù la madonna e per comunque affinarmi il palato senza dovere necessariamente pisciarmi addosso per aver mangiato tutta la fetta invece che solo il più buono, poi comunque era carina la fetta con la forma dei miei dentini. Poi mi son messa li in mezzo e ho aspettato che qualcuno dei poliziotti mi parlasse o che i miei mi introducessero a questi miei nuovi amici. Niente, un cazzo, la bambina invisibile, ho preso l’iniziativa, mi son messa a un capo del tavolo e ho iniziato a urlare “pooooooooooooooolizioooooottttttiiiiiiiiiiiiiii?” al che è scattato l’intervento di mio papa che mi ha detto che avevano un nome, mi ha detto il nome di tutti solo che non ne ricordo neppure uno, in ogni caso mi son messa a parlare con quello che mi pareva più giovane e mansueto e gli ho chiesto se era vero che i bambini venivano portati via dai poliziotti e tutte le altre cagate.

“no.”

avevo tutto quello che mi serviva.

“stai buona se no chiamo la polizia”

“chiamala”

“guarda che la chiamo”

“chiama chiama”

Ha fatto addirittura una finta telefonata quel gran personaggio di mio parente sgradevole ma io ormai ero serena come una mucca in india.

Quei miei parenti sgradevoli li non mi hanno fatto mai più il baby sitting, quel giorno li ho distrutti, demoliti, devastati, hanno perso i capelli. Il mio desiderio si è esaudito. Di poliziotti poi ne ho conosciuti anche più avanti però vabbeh… era per altre cose che adesso non sto a raccontarvi.

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a sort of marino.

Oggi è stata una bella giornata con però dei momenti orribili  che mi hanno devastata.

Oppure.

Oggi è stata una giornata di merda con però dei momenti bellissimi che mi hanno elevato l’anima.

Sono tutte e due affermazioni vere.

Immagino sia sempre più vera la teoria del vivi qui e stai qui ora che così il mio termine in tempo non sarebbe una giornata della quale non so dire se bella o brutta ma il mio termine di tempo sarebbe che in un certo momento stavo bene e poi in un certo momento invece stavo male. Non vedo l’ora di quando sarà il momento del bilancio della mia vita, i famosi sette minuti, o erano secondi?, in cui dicono si comprenda il significato del tutto, che poi dicono e dicono ma chi?, a quel punto non vedo l’ora di poter dire in quanti momenti son stata bene e in quanti son stata male. Se il bilancio della mia vita lo dovessi fare basandomi su oggi farei una cosa così:

bene male malissimo benissimo
05.20am v
07.18am v
08.20am v
08.40am v
09.00am v
10.00am v
11.00am v
13.00pm v
14.30pm v
14.40pm v
15,00pm v
16.00pm v
17.00pm v


fa mal di testa vero? lo so è excel e quasi tutto quello che è excel fa mal di testa o sangue da naso.

volevo farvi anche un grafico torta sullo stesso stile ma poi mi son stufata. chiedo al mio collega se me lo fa lui domani.

In ogni caso i miei cinque benissimo dovrebbero stracciare tutto il resto. Infatti è così, son felice sto bene e sono molto felice dei miei cinque benissimo di oggi.

Oggi però quando avevo un momento tipo quello delle 10.00am mi pareva proprio di non farcela che io son così, tutto dura un secondo o anche di meno e tutto è sempre forte o fortissimo e io mi lancio con tutta me stessa e ancora son pentita di non aver fatto donna avventura, comunque ho preso il telefono

“ehilà”

“ciao, avevo bisogno di una voce amica”

…silenzio di due secondi poi…

“sei in spiaggia vero?”

sto in silenzio un secondo io ora…e poi

“si sono in spiaggia, c’è un sole meraviglioso ed è agosto”
“ah bene”

“si”

“hai fatto il bagno e hai tutta la salsedine addosso”

“si e mi si sono arricciati i capelli, ho i boccoli come ogni volta che faccio il bagno in spiaggia e col salso”

“forse domani non vengo in ufficio”
“immaginavo, stai tranquilla”

grazie.

grazie per sempre.

e.

update




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non fa ridere.

Mi piace sheldon cooper. Lo adoro. Vorrei averne uno a casa da tenere sopra al comodino e giocarci ogni tanto.

Mi piace anche Jim, quello de la vita secondo jim. è uno stronzo maschilista però sarà che di cognome fa belushi o che è ciccio non so, però mi piace, lo tengo in sottofondo una mezz’oretta leggera e via.

Mi piace anche house. Credo che le battute otto volte su dieci siano sagaci.

Poi altre serie tv. Mi piacciono un sacco di serie tv in effetti solo che non le elenco.

Ho iniziato a vedere i misfits che è una serie tv inglese, le serie tv inglesi non lo ho mai guardate a parte nella mia parentesi di vita britannica. Nella mia parentesi di vita britannica oltre a robe guardavo i cartoni animati e la mia padrona di casa aveva un senso dell’umorismo assolutamente british che io adoravo. In misfits i dialoghi hanno la piega dei dialoghi della mia ex padrona di casa.

La mia ex padrona di casa aveva un gatto nero, si chiamava woodo, secondo me al momento è morto. Quel gatto un giorno, mentre abitavo con lui nella casa della mia ex padrona di casa, ha dichiarato di avere un piatto preferito e ha deciso che non avrebbe mangiato null’altro di diverso dal suo piatto preferito. Il piatto preferito di woodo era il garlic chicken. Un enorme pollo immerso in una puzzosissima salsa a base di aglio e olio e poi sbattuto in forno con sopra il succedaneo del parmigiano reggiano. Vi auguro di ricevere una alitata da quel gatto in faccia mai.

woodo.

In ogni caso, tutte le cose di cui sopra mi piacciono, so che sono divertenti, capisco le battute e mi verrebbe da muovere un labbro ma. Ho realizzato, nel corso degli anni, che io davanti al televisore non rido. Se sono da sola che guardo la tv non rido, non so magari mi sento ridicola o forse non voglio sentire il rumore della mia voce o forse ho paura di far scappare i gatti, resta il fatto che io di fronte a dialoghi di intelligenza ironica superiore e di fronte a scene che farebbero stringere la pancia ai più, resto zitta, immobile, non mi schiaccio il naso, non faccio niente di niente a parte pensare “oh che bella battuta”

e pensare “oh che bella battuta” davanti a una bella battuta non è esattamente il tipo di reazione che uno si aspetta di sentire dopo una bella battuta.

pensare “oh che bella battuta” dopo una bella battuta è come quando qualcuno ti abbraccia e tu, con la faccia della mucca che vede passare il treno, dici “oh ti ho sentito le tette”

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