Sono stata in pronto soccorso qualche giorno fa, il motivo della mia visita al nuovo ospedale di Mestre non è rilevante ai fini di questo piccolo spazio di aria, vi basti sapere che io sto bene, io sto sempre molto bene.
Il pronto soccorso è un posto interessante, sono una persona di mondo, ci sono stata spesso tra un passaggio e l’altro della mia vita ed è interessante scoprire che il pronto soccorso ogni volta mi mostra qualcosa di nuovo.
C’era una donna in sala di attesa, era una donna simile al centinaio di altre donne presenti nella sala di attesa, stanca, avvilita, seduta su una sedia scomoda. Questa donna ha attirato la mia attenzione perché mi ha messo la mano su una spalla e ha iniziato ad urlare “due ore che siete qui e ancora non vi hanno detto niente…non è una vergogna?” io zitta e lei ha proseguito “è una vergogna…vergogna…vergogna” poi si è avvicinata la guardia giurata e l’ha zittita. La donna era li come accompagnatrice di un signore anziano che aveva da fare cose di ortopedia.
Le cose di ortopedia in un pronto soccorso sono quelle più lunghe da gestire, o forse solo nel nostro, resta il fatto che anche se uno ha un dolore lancinante a seguito di una frattura viene di sicuro preso in considerazione dopo rispetto a un paziente con presunti problemi neurologici o cardiaci o qualsiasi altra cosa diversa da un osso rotto. Diciamo che la linea guida è che per un osso rotto si muore più lentamente rispetto all’avere un cuoretto rotto.
Avevo iniziato anche a capirla quella donna, chi sa da quanto era li, chi sa quanta gente le è passata davanti, chi sa un sacco di altre cose. Poi lei ha preso di mira un’altra signora e ha riattaccato la tiritera, urlando e alzando le mani a gesticolare e indicando i medici e gli infermieri che attraversavano la zona ignari e assorti da altro. Da li in poi non ce l’ho fatta più a capirla e le ho detto “oh basta daghe un tajo” perché a parte esserci un sacco di persone a compagnia dei pazienti, nella sala di attesa c’erano anche i pazienti, i pazienti erano la metà esatta degli accompagnatori. Signore anziane claudicanti, una ragazza alla quale credo abbiano somministrato un farmaco sedativo, un uomo con un fortissimo mal di denti, una ragazza col ginocchio immobilizzato, un uomo che si abbracciava il gomito destro, un bambino con un cerotto in testa…avevano bisogno di silenzio e di calma e di tranquillità e di un medico certo, non di una testa di gran cazzo che sbraita al nulla. Avesse preso un dipendente della struttura a caso e gli avesse manifestato il disappunto sarebbe stato diverso ma lei arieggiava la bocca e la arieggiava nella direzione sbagliata.
In una piccola zona riservata del PS hanno montato una sorta di astanteria, per i pazienti che devono aspettare qualcosa e però hanno la barella e la flebo e allora li nascondono dagli altri. Io mi trovavo li e li è venuto a ripararsi anche l’uomo che si abbracciava il gomito, si è messo al telefono, dice di aver salvato suo figlio, dice che ha salvato il figlio e che però lui forse si è rotto il gomito. Chiude la telefonata e dentro alla stanza entra un bambino, credo avesse due o tre anni, era bellissimo, tutto vestito di giallo e con una garza col sangue si teneva il mento. Era il famoso figlio salvato da quel padre, quando lo ho visto mi è dispiaciuto che buttasse sangue dal mento e ho immaginato gli avrebbero dato un paio di punti da bambini. Oltre al cucciolo è arrivata anche la mamma e lei si è seduta vicina al papà e hanno iniziato a raccontarsela, a un certo punto del racconto lui dice di aver visto un altro bambino dello stesso asilo del figlio li e che però quel bambino si è fatto male, il papà non è riuscito a salvarlo, ha indicato suo figlio e ha detto “gli è successo quello che ho impedito succedesse a lui”.
Ho iniziato a immaginare che diavolo era successo ai due bambini dello stesso asilo, che gioco stessero facendo, se si sono lanciati dalle altalene o varie, poi ho pensato all’uscita, che forse hanno attraversato senza dare la manina a papà, insomma ho iniziato a immaginare e poi ho smesso quasi subito perché ero li per altro, non per farmi i cazzi della gente.
Sono passate ore e una Kerika effe stanchissima era appoggiata al bancone del pronto soccorso davanti a dove un medico sarebbe dovuto venire a cercarmi, è il bancone della speranza quello, quando ti metti li è perché le visite son state fatte e se fosse successo qualcosa di grave già lo sapresti e sai che sei li che attendi che ti dicano puoi andare, o anche eventualmente puoi restare, l’importante è che qualcosa te la dicono…al bancone della speranza di solito si è in cinque o sei, eravamo in dieci, mi son guardata intorno ed è stata una frazione di secondo uno STOCK fortissimo, il rumore di un attimo e un dolore di quelli che non puoi sbagliarti all’altezza del petto. Avevo l’altro bambino al mio fianco, bellissimo, tutto vestito di verde, era in braccio a una mamma molto triste e molto preoccupata, all’altezza della caviglia aveva una serie di striature, qualcuna sembrava un’ematoma, qualcuna aveva il sangue, il suo piede era gonfio che non sembrava il suo, era zitto ed immobile, non piangeva, non faceva nulla.
Aveva infilato il piedino tra i raggi della bici del papà, o della mamma, non lo so, so che ho sentito male a vederlo così e so, che nonostante il male per lui e per altri e per tutti, se mi fosse stato possibile avrei voluto portarmi via un po’ del suo dolore che forse solo così avrei sentito meno male.